Gennaio 2023

Irlanda: non c’è niente di “assurdo” nelle norme per l’etichettatura degli alcolici

Il consumo di alcolici in Irlanda ha un costo sociale e sanitario molto alto

Irlanda: non c’è niente di “assurdo” nelle norme per l’etichettatura degli alcolici

di Alessandra Biondi Bartolini

Non c’è niente di assurdo o di improprio nella decisione dell’Irlanda di inserire sulle etichette degli alcolici delle indicazioni di allerta sui rischi per la salute. Non si tratta di attacco diretto all’Italia, di criminalizzazione del vino o di deriva proibizionista. Eppure questi sono i termini decisamente poco laici che abbiamo letto su molte testate giornalistiche italiane e nelle dichiarazioni dei rappresentanti delle principali organizzazioni di categoria, associazioni di produttori, fino anche al Ministro Lollobrigida. Un linguaggio che punta allo stomaco senza spiegare e chiarire perché o come una decisione presa internamente da uno Stato membro per tutelare la salute dei propri cittadini, possa condizionare i mercati e la loro libera diffusione, dal momento che questa è la preoccupazione.

Non entriamo nel merito del reale o potenziale rischio per il mercato del vino italiano, sui quali qualcuno come Coldiretti ha avanzato anche dei numeri affermando, senza indicare le caratteristiche del campione di riferimento o le modalità di rilevamento online, che con l’introduzione di “scritte allarmistiche” in etichetta un italiano su quattro smetterebbe di bere o ridurrebbe i suoi consumi. Diciamo però che l’Irlanda non è il primo paese ad avere introdotto, in modo indipendente dalle decisioni comunitarie, uno health warning a difesa della salute dei consumatori. Come fa notare Michele Antonio Fino, giurista ed esperto in diritto comunitario nonché autore di Questione di Etichetta, sul suo profilo Instagram, l’icona della donna in gravidanza è obbligatoria su tutti gli alcolici in Francia da almeno dieci anni. Ma molti produttori sanno benissimo che per esportare negli USA, oltre alla stessa icona che informa sui gravi rischi connessi alla sindrome alcolica-fetale conseguente al consumo durante la gestazione, è necessario inserire in etichetta i cosiddetti government warning, con lindicazione che il consumo di alcolici può causare problemi per la salute e che comporta dei rischi per chi si dovesse mettere alla guida. E dal momento che le esportazioni di vino in USA non sono diminuite si potrebbe semmai discutere dell’efficacia eventuale di queste misure di informazione, ma non di un pericolo per la filiera italiana.

Il via libera di Bruxelles alletichettatura per gli alcolici venduti e consumati sul territorio irlandese arriva al termine di un iter che prevede la sottomissione alla Commissione Europea delle norme nazionali, con un periodo di moratoria di sei mesi, per fare in modo che questa possa valutare se vi sia un limite alla libera circolazione delle merci. Il provvedimento è stato notificato alla Commissione nel giugno 2022, nel corso dei sei mesi successivi alcuni paesi tra i quali l’Italia hanno espresso e depositato le loro opinioni sfavorevoli, senza tuttavia che alla chiusura del periodo previsto la Commissione abbia individuato delle criticità per porvi dei limiti. 

Ma partiamo dall’inizio, dall’Irlanda e dalle sue politiche in tema di alcolici.

I provvedimenti legati alle politiche sanitarie o sociali non sono di pertinenza della Comunità Europea (a differenza dell’agricoltura o della sicurezza alimentare per fare solo due esempi a noi vicini), e ogni Stato presenta aspetti e criticità diverse da dover affrontare internamente.

Il consumo di alcolici in Irlanda ha un costo sociale e sanitario molto alto, che le autorità irlandesi che ne sono competenti hanno deciso di affrontare fino dal 2018 attraverso il Publich Health Alcohol Act. In una lettera all’editore  (Critchlow et al, 2021) pubblicata sulla rivista Irish Journal of Medical Science del luglio 2021 si parla di due quinti dei consumatori di alcolici irlandesi coinvolti in almeno un episodio di consumo pesante ogni mese e di una percentuale del 14,8% della popolazione complessiva che rientrerebbe nei criteri che portano a identificare un disordine legato all’alcol. 

Altri dei provvedimenti già previsti dal documento del 2018 in Irlanda sono già stati applicati, come ad esempio è avvenuto nel gennaio 2022 con l’imposizione del prezzo minimo  stabilito sulla base del contenuto in alcol, allo scopo di dissuadere soprattutto i consumatori più giovani e con minore capacità di acquisto dal fenomeno del bindge drinking in un paese dove un tredicenne su venti ha già sperimentato la sua prima ubriacatura.

Con la nuova normativa interna le etichette di tutti gli alcolici commercializzati in Irlanda entro tre anni dall’approvazione da parte del governo irlandese dovranno riportare, oltre al pittogramma sul rischio relativo al consumo in gravidanza altri due avvisi di informazione sulla relazione esistente tra l’alcol e l’insorgenza dei tumori e sulle implicazioni relative alle malattie del fegato.

Forse un esempio da parte di un paese, anch’esso produttore di alcolici, che affronta le necessità di informazione dei consumatori, considerandole evidentemente una necessità di ordine superiore, senza nascondere la testa nella sabbia o, peggio, cercare di diffondere un’informazione distorta che sostiene un alcolico quale alimento salutare?