di Maurizio Gily
14 Aprile 2022
Nessuno spazio vuoto a Vinitaly 2022, che si è svolta a Verona tra il 10 e il 13 aprile. Veronafiere ha comunicato la presenza di 4400 aziende espositrici da 19 nazioni e di 700 buyer da 50 paesi. Lo sforzo organizzativo dell’ente veronese è stato veramente imponente, anche per cercare di far fronte alle molte criticità del momento.
I pareri raccolti tra gli stand sono abbastanza concordi: meno affollamento degli scorsi anni (ce ne siamo accorti anche dalla maggiore fluidità del traffico), visitatori più selezionati, presenza scarsa o quasi nulla di operatori da Cina e Giappone, ancora alle prese con nuove ondate di COVID e conseguenti restrizioni imposte dai governi, per altri e ovvii motivi assenti russi e bielorussi; buona presenza invece di operatori dal Nord Europa e dal Nord America. Tra gli italiani non sono mancati i grandi “player”, grossisti, distributori e buyer della grande distribuzione: scarsa invece la presenza di esercenti, ristoratori in particolare, frenati dalle difficoltà del settore, dal costo del biglietto e dalla concorrenza di altre fiere più focalizzate su piccoli produttori e vini “naturali”.
Peraltro anche Vinitaly si è attrezzata bene per dare spazio alle piccole aziende, con ampie aree divise in piccoli box preallestiti: la FIVI occupava la maggior parte di un intero padiglione, un altro, chiamato “organic hall” era occupato per metà da altre aggregazioni con un focus particolare sul biologico.
Ricchissimo il programma di convegni, eventi e degustazioni.
Nel complesso gli espositori hanno manifestato un buon grado di soddisfazione, per i contatti nuovi e per quelli recuperati: al di là del “business” la partecipazione è stata avvertita come una liberazione dalle restrizioni imposte dalla pandemia e un ritorno alla normalità, di cui il contatto diretto tra le persone è una componente che nessuna videochiamata può sostituire.
A questo proposito va anche detto che molte regole (soprattutto molte mascherine) dentro i quartieri della fiera sono saltate, ed era probabilmente inevitabile: oltre a un rigido controllo all’ingresso sui green pass non era oggettivamente possibile da parte dell’organizzazione fare molto di più senza creare un’atmosfera repressiva, che certamente non sarebbe stata gradita. Una specie di “prova generale di libertà” che tutti speriamo di aver superato senza danni.