di Lorenzo Biscontin
Tra i molti interventi interessanti che ci sono stati quest’anno a wine2wine, l’annuale Forum sulla filiera del vino che si è svolto a Verona il 7 e 9 Novembre, ce n’è uno che, anche sentendo i commenti che ha suscitato a caldo, rischia di essere frainteso. Quindi vale la pena di approfondirlo.
Si tratta dell’intervento di Joanna Sciarrino (nella foto), Editor in Chief (ovvero Capo Redattore), del sito di informazione vinicola americano VinePair.
Il titolo dell’intervento era “Ai lettori non interessa la sostenibilità” (“Readers Don’t Care About Sustainability” in originale)
Primo equivoco: il titolo NON era una provocazione
Nella sua assoluta chiarezza il titolo dell’intervento è stato interpretato da molti come provocatorio. In realtà non è così perché Sciarrino ha semplicemente riportato la realtà dei fatti che emerge dall’analisi dei comportamenti di lettura degli oltre 25 milioni di lettori mensili di VinPair: gli articoli che riguardano la sostenibilità sono tra quelli meno letti.
La spiegazione che ne ha dato è che la sostenibilità è l’argomento principale comunicato dalle cantine, da tutte sempre nello stesso modo: raccontando quello che fanno per rendere più sostenibile il loro modo di lavorare.
Alla lunga i lettori si sono stufati di leggere sempre le stesse cose, cose in buona misura irrilevanti: ovvero ai lettori / persone / consumatori non interessa tanto quello che una cantina fa in termini di sostenibilità, ma interessa quali risultati queste azioni portano al benessere generale.
Secondo equivoco: la sostenibilità è un rilevante elemento nelle scelte di acquisto delle persone
Il disinteresse delle persone a leggere di sostenibilità porta automaticamente a ritenere che per le persone la sostenibilità non sia importante. In realtà non è così, e ci sono numerose ricerche a dimostrarlo.
Il punto è che nel momento in cui tutte le informazioni che riguardano la sostenibilità delle cantine si somigliano, perdono la loro valenza informativa. Alle persone la sostenibilità interessa, ma non credono più che sia attraverso gli articoli delle testate specializzate che riusciranno a capire meglio come indirizzare le proprie scelte.
Infatti l’interesse e il numero di letture aumenta per gli articoli dove si parla di sostenibilità in modo diverso dalla solita narrazione e si comunicano risultati concreti ottenuti a beneficio della propria comunità, nazione, pianeta.
Per risolvere l’apparente contraddizione tra il disinteresse ad informarsi sulla sostenibilità e l’interesse a fare acquisti che premino le aziende sostenibili, conviene fare un paio di considerazioni di contesto.
La prima è che le aspettative sulla sostenibilità delle aziende si sono alzate moltissimo. La gran parte delle cantine si muovono, e comunicano, ancora nella logica di ridurre il proprio impatto sull’ambiente. I consumatori però sono già andati oltre: non si aspettano più che le imprese riducano il loro impatto ambientale, si aspettano che l’attività aziendale produca effetti positivi per l’ambiente. Si pensi ad esempio ai monopoli scandinavi che hanno recentemente dichiarato come il loro obiettivo in termini di sostenibilità sia contribuire ad invertire la curva del cambiamento climatico. “Invertire”, non “ridurre” o “rallentare”.
L’altra considerazione riguarda il mercato americano in cui opera VinePair. In passato diverse ricerche hanno evidenziato come per la maggioranza dei consumatori USA il vino sia un prodotto intrinsecamente “naturale”, indipendentemente dal fatto che sia prodotto con tecniche convenzionali, biologiche, biodinamiche, ecc…. Una valutazione che è meno sorprendente di quanto appaia a prima vista ricordando l’intensità di lavorazioni, trasformazioni e trattamenti, in un certo senso l’”innaturalità”, che caratterizza la grandissima parte del cibo e bevande consumate in America.
Terzo equivoco: ai consumatori NON interessano le certificazioni di sostenibilità
In realtà non si tratta di un equivoco perché è effettivamente così. Però si tratta di un comportamento normale e diffuso in tutte le categorie merceologiche.
Basta pensare alla conoscenza ed all’attenzione che abbiamo noi stessi per i diversi tipi di certificazioni, anche tecniche oltre che ambientali, che si applicano ai settori in cui non siamo coinvolti professionalmente.
Fuor di aneddotica dovremmo tener presente che le certificazioni sono strumenti attraverso cui le aziende verificano il loro lavoro nella gestione dell’organizzazione e dei loro processi di funzionamento. L’importanza è, o dovrebbe essere, nei miglioramenti ottenuti attraverso l’adozione delle pratiche ed il “bollino” della certificazione ne è solamente la conferma. Allo stesso modo il certificatore va visto come un consulente esperto che l’azienda utilizza per raggiungere determinati risultati gestionali e non come l’esaminatore che rilascia o meno il certificato.
Troppo spesso invece si è diffusa la visione delle certificazioni come strumento di marketing fine a se stesso, senza nemmeno preoccuparsi di comunicare il significato del “bollino”. Visione però che non è condivisa dal consumatore e quindi non funziona.
Quindi le cantine cosa dovrebbero fare? VinePair è un osservatorio privilegiato sul consumatore americano e dalla presentazione di Sciarrino risulta chiaro che le cantine quando parlano di sostenibilità lo devono fare utilizzando gli argomenti che interessano al mercato, non quelli che interessano a loro.
Ovvero comunicare non cosa e quanto hanno fatto, ma come le loro attività hanno impattato sulla sostenibilità sociale ed ambientale dell’intorno in cui le cantine vivono.
In caso contrario il termine “sostenibilità” continuerà a svuotarsi di significato per diventare sinonimo di “greenwashing”.