Il giornalismo urlato e allarmistico nelle edicole di tutta Italia va bene, la revisione dei fatti e la critica della stampa specializzata no. E così il caso giornalistico (non quello delle condanne per frode alimentare che ha seguito il suo giusto corso) del Velenitaly del 2008 sbattuto in prima pagina da L’Espresso, si chiude con una condanna. Non per procurato allarme nei confronti di chi aveva creato un caso mediatico confondendo i fatti ma per chi con competenza aveva cercato di fare chiarezza.
Maurizio Gily, direttore del periodico Millevigne, è stato condannato ad un pagamento di 5000 Euro come risarcimento per aver leso la reputazione del giornalista autore dell’articolo pubblicato sull’Espresso (il quale dell’articolo di Millevigne si è accorto dopo 3 anni a riflettori ormai spenti). Reputazione lesa, a detta del giudice per mancanza di “continenza” verbale che sarebbe sfociata secondo la sentenza in un attacco personale. Nessun riferimento all’esposizione distorta dei casi o al procurato allarme prodotto da quanto esposto nell’articolo di partenza. Pur riconoscendo la correttezza sostanziale di quanto riportato da Gily il giudice del Tribunale di Rovereto dice: “Lei ha ragione ma tra colleghi si usino solo parole gentili, lei invece è un incontinente verbale e io la metto in castigo”…
Quello che aveva fatto Gily non era altro che quello che nei paesi civili, quelli in cima alle classifiche che ordinano i paesi sulla base della libertà di stampa (dove l’Italia si trova ahimè al 57° posto, secondo“reporter senza frontiere”) chiamano fact checking, o controllo dei fatti. Nei paesi anglosassoni o in Germania il fact checking avviene addirittura all’interno delle stesse redazioni e tutela testate e giornalisti dal far uscire baggianate: personale retribuito dal giornale che verifica e corregge le notizie prima che escano, praticamente una chimera per la stampa italiana. E’ per questo che su una notizia del Washington Post o del Der Spiegel si può mettere (quasi) la mano sul fuoco.
Ci sono paesi dove chi fa fact-checking viene retribuito. In Italia viene condannato dai giudici.
Per chi non ricordasse: i fatti di quel Velenitaly 2008
Velenitaly è stato un caso da manuale per la categoria del giornalismo che gli anglosassoni chiamano “giallo” (e che non ha a che fare con il genere poliziesco): c’era il caso reale riportato della frode e dell’inchiesta (anzi di più di una frode), c’era l’allarme creato confondendo il significato di frode, sofisticazione e sicurezza alimentare e c’era nell’esplosione del caso in concomitanza del Vinitaly tutta la brutalità del principio della notiziabilità.
Per chi non se lo ricordasse la notizia trattava dell’inchiesta su un grosso caso di sofisticazione di vini di bassa gamma (si parlava di annacquamento, di aggiunta di zucchero e acidi forti come l’acido cloridrico oltre che di non meglio specificati fertilizzanti e agenti cancerogeni). La condanna da parte del noto settimanale era ovviamente cosa giusta così come i successivi provvedimenti presi dalla magistratura.
Quello che creò allarme ed esplose come una bomba sul settore viticolo italiano furono i toni allarmistici dei titoli e dell’articolo, il continuo riferimento al rischio per la salute del consumatore e alla presenza di veleni nonché la richiesta agli organi competenti di rendere noti nomi ed etichette a tutela della salute del consumatore, richiamando lo spettro presente in tutti noi del vino al metanolo.
In realtà di frode si trattava e come tale doveva essere punita, ma non tutte le frodi sono pericolose per la salute del consumatore e dei veleni ai quali si faceva continuo riferimento a partire dal titolo non era in realtà stata trovata alcuna traccia.
Anche il momento per il settimanale fu quello giusto. Il caso (anzi i casi perché sullo stesso numero del mensile era uscito anche il caso Brunellopoli, un’altra brutta storia per il mondo del vino) fu tenuto in caldo fino a quando tutto il mondo enoico (e anche quello che in genere vive al suo margine) stava guardando al vino italiano e cioè nella settimana del Vinitaly. E’ così che due bombe e un titolo ancora più esplosivo diventano La Notizia con la N maiuscola. Visto da fuori sembra brutto, da dentro lo è ancora di più, magari crea un danno terribile a un settore, ma come direbbe Humphrey Bogart “è la stampa bellezza”, funziona così non ci si può fare nulla.
Ma sulla realtà e la correttezza dei fatti riportati invece qualcosa di dovrebbe poter fare e soprattutto poter dire, no?
A chi giova?
La sentenza del Tribunale di Rovereto mette di nuovo sotto i riflettori il rapporto della Giustizia Italiana con la Scienza e con l’Informazione. Viene in mente la sentenza del TAR del Lazio che sospende il parere degli scienziati su Stamina. Viene in mente il Tribunale di Rimini che riporta tra le motivazioni della richiesta di indennizzo dei genitori di un bambino con disturbi neurologici al Ministero della Salute, una delle frodi scientifiche più clamorose degli ultimi anni, quella secondo la quale i vaccini sarebbero causa dell’autismo.
Perché in Italia non ci si rivolge mai a dei veri esperti? Perché il parere della comunità scientifica e la realtà dei fatti con l’opinione espressa dagli esperti e dai professionisti contano così poco per i giudici italiani?
Perché anche i giornalisti generalisti o quelli di inchiesta si rivolgono sempre alle persone sbagliate per avere dei pareri tecnici? Perché una cosa o è un veleno o non lo è. Se un prodotto è cancerogeno ci sarà uno straccio di ricerca che lo ha dimostrato, non si scrive che qualsiasi cosa non ammessa sia tossica o anche cancerogena così per aggiungere un po’ di pepe al discorso.
E in Italia professionisti seri o scienziati ce ne sono tanti, ai quali il giornalista di Velenitaly si poteva rivolgere prima di scrivere cose sbagliate come ha fatto (e come in molti anche sulla sua stessa testata hanno già ampiamente discusso e dimostrato). Come fanno al Times ad esempio.
E sarà paradossale ma uno di quelli in Italia che gli avrebbe spiegato meglio come stavano le cose senza entrare in questo ginepraio sarebbe stato, tanto per citarne uno.. Maurizio Gily.
Il quale sullo stesso Blog di Millevigne commenta così la sentenza che l’ha condannato “Evidentemente la verità in Italia va detta con moderazione. Pardon, con continenza. Soprattutto quando si vanno a toccare aziende, gruppi e persone con le spalle più larghe delle vostre. Come Millevigne contro Espresso-Repubblica: una pulce contro un carro armato”.
Nel primo “compito” di giornalismo scientifico che mi fu assegnato parlai proprio del modo in cui l’agroalimentare sale agli onori delle cronache purtroppo soltanto in occasione dei casi di frodi o di allerta alimentare e del modo allarmistico e privo di fondamento e informazione scientifica con il quale queste notizie vengono trattate, facendo molto raramente ricorso all’opinione di veri esperti e scienziati. E scelsi come case history la storia di Velenitaly. Era un testo sul tema: “La scienza è rappresentata in modo positivo sui media?” Per la cronaca presi un sei scarso: non avevo usato un linguaggio sufficientemente giornalistico.
Oggi vorrei fare un altro tema “La scienza e la professionalità sono considerate in modo positivo dalla giustizia?”. Materiale se ne trova a bizzeffe, magari un sette meno lo rimedierei.
NOTA DELLA REDAZIONE
Presentato ricorso in appello
A seguito della discussa sentenza di primo grado del tribunale di Rovereto c’è stata una straordinaria mobilitazione popolare nel mondo del vino a sostegno del direttore Maurizio Gily, che lo ha spinto ad aprire una sottoscrizione pubblica per finanziare le spese legali del ricorso in appello, che è stato presentato al Tribunale di Trento lo scorso 14 marzo. Il sito di “crowdfunding” www.buonacausa.org ha raccolto per intero la somma obiettivo di 15.000 euro, grazie a donazioni private. Hanno risposto all’appello molte cantine e tecnici del settore da tutta Italia, memori di quell’assurda copertina dell’Espresso e dei gravi danni inferti all’immagine del vino italiano. Anche molti giornalisti, italiani e stranieri, hanno contribuito economicamente e rilanciato la notizia sui loro organi di informazione, commentando la sentenza come un grave attacco alla libertà di stampa e auspicando che essa possa essere ribaltata nel giudizio di secondo grado. Una rassegna stampa è disponibile sul sito buonacausa.org.
I due filoni di indagine sulla frode descritta da Espresso, quelle veronese e quello tarantino, hanno registrato finora una condanna nel primo caso e diversi rinvii a giudizio nel secondo. In entrambi i casi per frode commerciale e falsificazione di documenti. Nulla a che vedere con l’avvelenamento di massa prospettato da Espresso, come volevasi dimostrare.
L'Editoriale Numero: 01 / 2014
L’onda lunga di Velenitaly
“Evidentemente la verità in Italia va detta con moderazione. Pardon, con continenza. Soprattutto quando si vanno a toccare aziende, gruppi e persone con le spalle più larghe delle vostre. Come Millevigne contro Espresso-Repubblica: una pulce contro un carro armato”.
Maurizio Gily
