All’interno di una spumantistica italiana in espansione, soprattutto per merito del Prosecco, l’Asti fa eccezione. Basti pensare che nel 2011 la Docg aveva commercializzato un totale di 107 milioni di bottiglie e che oggi ne mancano all’appello 30 milioni. “Secondo i dati del Consorzio – spiega Paola Visconti, marketing manager di Gancia – le vendite totali, dopo un periodo di trend negativo, si sono stabilizzate arrivando a circa 77 milioni di bottiglie nel 2018. Il moscato continua la sua crescita, concentrando prevalentemente le vendite in Usa (65% circa delle vendite totali) e in Italia (11% circa), mentre l’Asti dolce, prodotto presente su più mercati (oltre il 70% delle sue vendite è concentrato in Uk, Italia, Germania, Usa e Russia), pur continuando a flettere rimane il prodotto più importante sul mercato (65% circa delle vendite totali 2018)”.
I nodi irrisolti
A influenzare negativamente l’andamento delle vendite ci sono recentemente state una concomitanza di cause, tra le quali il calo mondiale e generalizzato del consumo di vini dolci, la crisi del rublo e il crollo dell’export in Russia e la forte diminuzione delle vendite in Germania (prima destinazione dell’Asti dolce). Ma la difficile situazione di mercato dell’Asti dipende anche dalle difficoltà che la Docg ha incontrato nell’affrontare i suoi storici problemi: la stagionalità dei consumi, il posizionamento di prezzo medio-basso concentrato sul canale della distribuzione moderna, con conseguenti basse marginalità e un’immagine di prodotto non sufficientemente associata al territorio d’origine.
Questa difficile congiuntura di mercato ha costretto il Consorzio di Tutela a reagire con una strategia di rilancio, che si appoggia su un nuovo disciplinare di produzione, approvato a fine settembre 2019 dal Comitato Vitivinicolo Regionale e in attesa di essere ratificato a livello nazionale ed europeo. “Quando uno è chiuso all’angolo – afferma Mauro Arione, dell’omonima azienda vitivinicola – è obbligato a reagire”.
Vediamo dunque come sta cercando di rispondere questa storica Docg, nata nel 1932, che coltiva uva Moscato bianco su un’area di circa 10.000 ettari in 52 Comuni delle province di Alessandria, Asti e Cuneo. La particolarità di questo vitigno, il Moscato Bianco, è che riesce a dare da sempre due diverse tipologie di vino: il Moscato d’Asti e l’Asti Spumante. L’Asti Spumante viene prodotto con metodo Martinotti da base spumante a bassa gradazione, mentre il Moscato d’Asti ha un lieve residuo di anidride carbonica, ma non viene ottenuto per spumantizzazione.
La versione ‘secca’
A questi due storici prodotti del territorio nel 2017 se ne è affiancato un terzo: l’Asti Secco, che in una prima fase di sperimentazione prevedeva un grado zuccherino minimo di 17 grammi per litro, e che una volta approvato il nuovo disciplinare potrà essere prodotto anche in versione Extra Brut e Pas Dosè. “In Italia sappiamo che i consumi si stanno spostando ormai sempre più verso il mondo dei secchi – afferma Paola Visconti – e gli ultimi dati di mercato dello spumante ci confermano questo trend: il mercato cresce di circa il 20% a volume e la categoria del secco continua a sovraperformare, grazie soprattutto ai segmenti di Prosecco, ‘Altri spumanti secchi’ e Metodo Classico”. La decisione di lanciare l’Asti secco è stata proprio quella di introdurre un prodotto nuovo, in grado di soddisfare diversi momenti di consumo, non più legati solo alla stagione natalizia, e in grado di conservare i profumi molto aromatici tipici dell’Asti, però con gusti più moderni. “A distanza di poco più di due anni dalla creazione di questa nuova tipologia – aggiunge Stefano Ricagno, vice presidente del Consorzio – l’Asti secco ha dato risultati molto interessanti sul fronte della piacevolezza del prodotto e sta continuando a migliorare da un punto di vista qualitativo. Abbiamo capito che l’Asti secco ha bisogno di almeno 6/7 mesi di bottiglia per riuscire a esprimere le sue caratteristiche, e questa scoperta non è facile da gestire da parte di una denominazione da sempre abituata ad avere a che fare con un prodotto fresco”. La liberalizzazione totale del residuo zuccherino dell’Asti consentirà dunque di diversificare ulteriormente la gamma di questa Docg, che già da tempo comprende anche una produzione di nicchia di Moscato d’Asti Vendemmia Tardiva. “La mia azienda è stata tra le prime a produrre Asti secco – racconta Matteo Soria, dell’omonima azienda vitivinicola – e questa tipologia mi sembra soffra ancora di una tendenziale omogeneità. Il problema, recentemente risolto dalle nuove modifiche del disciplinare, è che i consumatori si aspettano di consumare un prodotto secco e poi in realtà si ritrovano nel bicchiere un vino con 35/40 grammi di zuccheri. E adesso, soprattutto per le aziende agricole, intravedo interessanti prospettive anche dall’Asti Secco in versione Metodo Classico, la cui produzione è già consentita”.
Aspettative sul Classico
Proprio sulle potenzialità di quest’ultima tipologia di prodotto è già possibile avvertire un notevole ottimismo. “L’Asti Metodo Classico – spiega Paola Visconti – rappresenta una nicchia di mercato che in Italia è rappresentata soprattutto da Gancia, presente sul canale Horeca e in particolare nella ristorazione di livello, con l’Asti Docg 24 Mesi Metodo Classico. Poche bottiglie, circa 6.000 all’anno, un prodotto di qualità riconosciuta da consumatori ed esperti di settore, sia in Italia che all’estero, tanto da ricevere quest’anno l’Oscar Douja e la Menzione Speciale al Concorso Enologico Douja D’Or, raggiungendo il massimo punteggio tra tutti i vini premiati. Un prodotto che a tutti gli effetti può definirsi il successore del primo spumante italiano creato da Carlo Gancia nel 1865 con il Metodo Classico”.
Insomma, il nuovo disciplinare offre a tutte le aziende l’opportunità di produrre praticamente tutte le tipologie di Asti possibili, ma le conseguenze del lancio sul mercato di questi nuovi prodotti non si limitano a una maggiore diversificazione dell’offerta, ma consentono in prospettiva di ottenere finalmente anche una maggiore destagionalizzazione dei consumi e più marginalità. In Italia, per esempio, il prezzo medio a scaffale di una bottiglia di Asti è attualmente compresa tra i 3,80 e i 5,80 euro e con la tipologia secca, prodotta con Metodo Martinotti o con Metodo Classico, il posizionamento potrà sicuramente migliorare. “Attualmente una bottiglia di Asti secco – commenta a questo proposito Giovanni Bosca, presidente di Tosti – ha un prezzo di vendita a scaffale di almeno il 50% superiore a quella della versione dolce. La versione secca ha sicuramente maggiori costi di produzione, perché la fermentazione deve avvenire in maniera più lenta, ma alle spalle del diverso posizionamento di prezzo ci sono anche motivi strategici e di immagine. Nei prossimi anni la diversa marginalità ci dovrà infatti consentire di investire in comunicazione, in modo da far conoscere il prodotto al consumatore finale”.
Fra eccellenze e Gdo
In generale l’obiettivo che sembra porsi l’Asti è quello di dar finalmente vita a un top di gamma. “Come denominazione Asti facciamo fatica ad avere una fascia alta di mercato – continua Stefano Ricagno – anche se ci sono alcune “punte di diamante” sia sull’Asti che sul Moscato d’Asti, ma sono ancora troppo piccole per poter brillare di luce propria. Ad avere cominciato a coprire maggiormente la fascia alta di mercato ci sono anche grandi aziende come Martini & Rossi, che prima dell’estate ha per esempio lanciato sul mercato inglese e russo “Asti Ice”, studiato appositamente per essere servito con il ghiaccio”. Proprio con l’intento di andare a costruire un top di gamma, il nuovo disciplinare di produzione ha previsto anche il riconoscimento di una nuova Docg Canelli, che oggi rappresenta ancora una delle tre sottozone di produzione, assieme a Santa Vittoria d’Alba e a Strevi. Sempre a questo proposito, infine, il nuovo disciplinare consente già da oggi la possibilità di utilizzare il termine “vigna” accompagnato dal relativo toponimo. Il Consorzio aveva anche preso in considerazione l’utilizzo di menzioni comunali, ma per il momento è stato deciso di non prendere alcuna decisione a tale proposito. “La valorizzazione delle menzioni comunali è sicuramente una strada percorribile – commenta a questo proposito Matteo Soria – ma un primo passo in questa direzione è rappresentato dalla possibilità di utilizzare la menzione Vigna in etichetta. Tuttavia le aziende che utilizzano questo strumento sono pochissime, anche perché il mercato non chiede ancora prodotti di questo tipo. La maggior parte dei consumatori non è infatti pronta ad accettare grandi differenze di prezzo e per il momento non è pensabile poter fare grandi numeri con prodotti di questo tipo”. Grazie a questa nuova strategia la Docg potrà anche entrare più facilmente sul canale Horeca. “Il problema – continua Matteo Soria – è sempre stato questo: la maggior parte delle bottiglie che appartengono alla denominazione Asti vengono vendute da grandi industrie e si trovano sugli scaffali della distribuzione moderna. Solo un numero limitato di aziende agricole commercializzano Asti in enoteche e ristoranti, e lo stesso si può dire anche a proposito del Moscato d’Asti: a grandi linee su 28 milioni di bottiglie vendute ogni anno, solo 6 milioni provengono infatti da noi aziende agricole”. Gli fa eco Paola Visconti, secondo la quale “nella Gdo italiana le vendite di Asti dolce sono costituite dai 4 brand che sviluppano circa il 90% delle vendite totali: Martini & Rossi, Fontanafredda, Cinzano e Gancia”.
Le sfide della comunicazione
In parallelo a questo nuovo indirizzo produttivo, il Consorzio sta cominciando anche a studiare una nuova strategia di comunicazione. “Insisteremo soprattutto su un progetto di valorizzazione della denominazione, cercando di rafforzare un concetto di branding che si focalizzi sul territorio, che nel 2014 è stato nominato Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Tutto questo – spiega Stefano Ricagno – con una serie di iniziative promozionali sull’intero territorio nazionale, e con particolare enfasi sulla nostra zona di produzione: crediamo infatti che non si possa più non essere profeti in Patria”. Intenzione della Docg è dunque quella di cominciare a prestare maggiore attenzione al mercato interno, che rappresenta oggi circa solo il 15% delle vendite a volume. “Purtroppo con il passare del tempo l’Asti è diventato sempre più una commodity – afferma Giovanni Bosca – e per cominciare a riposizionare il prodotto si deve partire dal territorio. Fino a pochi anni fa per esempio era difficile trovare una bottiglia di Asti dolce proprio nella nostra zona di produzione, perché il suo consumo era tradizionalmente associato quasi solo alle feste. Proprio per cercare di ripartire dal territorio abbiamo dato vita all’Asti secco, anche con l’intenzione di andare ad occupare una quota di mercato del Prosecco. Purtroppo al progetto Asti Secco non hanno finora aderito i due più grandi nomi della denominazione, ovvero Martini & Rossi e Cinzano, e dunque abbiamo un po’ meno forza nel proporre al mercato questo nuovo prodotto. Ci tengo infine a ricordare che la nostra azienda già nel 1975 aveva proposto al Consorzio la possibilità di produrre un Asti Secco, ma i tempi non erano ancora maturi e la nostra proposta non venne accettata”. Allo stesso tempo la nuova strategia di comunicazione del Consorzio dovrà dedicare maggiore attenzione al target dei giovani, che spesso non hanno mai avuto occasione di degustare i vini della Docg. “Sia l’Asti che il Moscato d’Asti sono tipologie conosciute soprattutto da consumatori con un’età superiore ai 40 anni – conferma Matteo Soria – e per far crescere il mercato è necessario cominciare a rivolgersi ai più giovani, utilizzando soprattutto i social media”.
Sono almeno tre le criticità con le quali dovrà confrontarsi la nuova strategia di comunicazione del Consorzio di Tutela. La prima è rappresentata dalla possibilità che il consumatore si senta confuso da questo improvviso ampliamento della gamma dei prodotti presenti sotto l’ombrello della Docg (nei mesi passati era addirittura girata voce della creazione di una versione di Asti Rosé). “Una delle sfide più importanti che ci aspetta nei prossimi anni – spiega Mauro Airone – è di essere in grado di spiegare al mercato la poliedricità di questa Docg, che affianca spumanti Metodo Martinotti e Metodo Classico a vini frizzanti. Di conseguenza il Consorzio è chiamato a ideare la prossima campagna di comunicazione mettendo in evidenza proprio il fatto che da uno stesso territorio e da una stessa uva si possano ottenere diversi prodotti con diverse caratteristiche”.
Interessi contrapposti, anche fra i produttori
La nuova campagna di comunicazione dovrà inoltre fare i conti con la grande eterogeneità che contraddistingue il Consorzio di tutela, e che rende spesso difficili e lunghi i processi volti ad individuare gli obiettivi comuni. “Nel Consorzio – continua Matteo Soria – le industrie occupano la maggioranza del Consiglio d’Amministrazione, e si finisce per perseguire più spesso gli interessi di chi produce la maggior quantità di bottiglie. Senza dimenticare che in proporzione chi paga di più le campagne di comunicazione decise dal Consorzio di tutela sono paradossalmente le aziende agricole, perché pagano una quota sia sull’uva prodotta, sia sugli ettolitri prodotti, sia sulle bottiglie imbottigliate”.
La terza, e non meno importante, sfida che dovrà affrontare la futura strategia di comunicazione di questa Docg è infine la valorizzazione del territorio. In passato il Consorzio di tutela non è infatti mai riuscito a investire a sufficienza sul territorio di produzione, lasciando oggi la denominazione in una situazione di difficoltà, che la vede spesso sostituibile con tanti altri Asti prodotti in altre aree del mondo. Questa carenza si manifesta in maniera evidente soprattutto sul mercato statunitense, dove in questi ultimi anni ha preso piede un fenomeno di moda chiamato “moscatomania”. “Negli Usa il Moscato viene venduto prevalentemente come private label – ricorda Flavio Scagliola, vice presidente del Consorzio – e in questo mercato non possiamo dunque fare affidamento su vantaggi concorrenziali difendibili: la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro, lasciandoci senza possibilità di reagire”. Nonostante le tante incognite, tuttavia, oggi il Moscato sembra avere idee chiare sul suo futuro. “A differenza di quanto è successo più volte nel passato, dove nuovi progetti sono stati spesso iniziati e non conclusi – conclude Stefano Ricagno – questa volta vogliamo davvero cominciare senza fermarci”.