L’introduzione in Europa a metà ‘800 dell’oidio e, tre decenni dopo, della peronospora avvenne probabilmente a seguito dello scambio di materiale vegetale con l’America. Le viti europee si rivelarono fin da subito particolarmente suscettibili a queste crittogame che, grazie anche al clima favorevole, si diffusero rapidamente, al punto da far temere per la sopravvivenza stessa della viticoltura nel vecchio continente. Fortunatamente, dopo lo smarrimento iniziale, zolfo e rame si rivelarono ottimi prodotti per impostare una strategia di difesa contro questi parassiti, tanto da essere efficacemente utilizzati ancora oggi, a fianco ai fungicidi di sintesi disponibili a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Negli ultimi decenni però, la crescente attenzione di consumatori e viticoltori alle tematiche ambientali (ma non solo, come vedremo più avanti) ha portato alla ricerca di soluzioni che permettessero di ridurre l’impiego di prodotti fitosanitari. Proprio in questo contesto si inserisce l’ampio dibattito conclusosi con la recente autorizzazione (2009) a coltivare in Italia i cosiddetti vitigni resistenti, cioè varietà che presentano diversi gradi di tolleranza alle principali malattie crittogame, ottenuti dall’incrocio complesso tra la vite europea (Vitis vinifera) e altre specie del genere Vitis (americane o asiatiche) che presentano caratteristiche di resistenza (o tolleranza) alle principali malattie fungine.
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