Il caso studio di un laboratorio di analisi conto terzi ed alcuni suggerimenti operativi per ridurre i rischi.
I lieviti appartenenti al genere Brettanomyces, la forma asporigena del genere Dekkera, più comunemente conosciuti come “Brett” rappresentano una seria minaccia per il mondo enologico. Si tratta di microrganismi mesofili, quindi crescono molto bene alle normali temperature di fermentazione e di stoccaggio del vino. Hanno basse esigenze nutrizionali e posso fermentare fonti di carbonio alternative come gli zuccheri residui di fermentazioni stentate, l’etanolo, l’acido acetico e il cellobiosio, polimero del legno abbondante nelle barriques utilizzate per l’affinamento di vini pregiati. Queste possibilità permettono al Brettanomyces di vivere con facilità in ambienti poveri di nutrienti come il vino stesso, le superfici della cantina o i pori del legno della barrique.
Recenti studi hanno dimostrato la capacità di questo lievito di secernere uno strato di biofilm sulle attrezzature comunemente utilizzate nelle pratiche enologiche (serbatoi, tubature, presse, botti). Questa “pellicola”, composta da cellule e materiale esopolisaccaridico, risulta difficile da eliminare con le normali misure di detersione e permette al lievito di persistere nella cantina di anno in anno determinando “auto-contaminazioni”. Altre proprietà come l’alcol-tolleranza (fino al 14.5-15% vol. di etanolo), la capacità di resistere a pH acidi (pH inferiori a 4) e al principale antisettico utilizzato in enologia, ovvero l’anidride solforosa, rendono questi lieviti particolarmente adatti a sopravvivere nel vino in qualsiasi situazione e durante tutta la catena di vinificazione (dal mosto all’affinamento).
I Brettanomyces perdurano silenziosamente nel vino approfittando di situazioni come fermentazioni alcoliche stentate e fermentazioni malolattiche rallentate dove la mancanza di un competitore leader permette loro di emergere, proliferare e produrre metaboliti esplicando l’azione deteriorante per la quale sono noti.
Fenoli volatili: effetti, soglia di percezione e concentrazioni
La “fama” che li precede è proprio quella di microrganismi ubiquitari deterioranti, responsabili di odori e aromi sgradevoli nel vino che ne causano una notevole perdita qualitativa. Il principale difetto a cui sono associati è definito “carattere brett” ed è causato dai fenoli volatili.
Questi metaboliti sono prodotti, nel vino, dal Brettanomyces, per decarbossilazione e riduzione di acidi naturalmente presenti nelle uve (acidi idrossicinnamici).
I fenoli volatili, se presenti in grandi quantità, tendono a sconvolgere il profilo aromatico del vino mascherando le qualità aromatiche (come le note fruttate) e conferendogli odori sgradevoli di tipo animale (stalla, sudore di cavallo) o farmaceutico (cerotto, medicinale).
Nel vino rosso sono prodotti principalmente il 4-etilfenolo (4-EF) e il 4-etilguaiacolo (4-EG) in un rapporto variabile medio di 10:1 / 5:1 per la miscela 4-EF:4-EG, dove il 4-EF è sempre il più abbondante ed è il principale responsabile del difetto. Questi composti hanno una grande influenza sulle caratteristiche organolettiche quando vengono superate le soglie di percezione comprese tra i 400 e i 600μg/L; a concentrazioni inferiori sono scarsamente percepibili e possono contribuire alla complessità aromatica del vino donando sentori pepati o di chiodi di garofano.
Tale soglia non può essere applicata in modo categorico a tutti i vini: infatti, la percezione individuale degli aromi è fortemente influenzata dallo stile del vino, dalla cultivar, dalla temperatura di servizio, dalle capacità percettive del consumatore per non parlare dell’effetto sinergico con l’acidità volatile. Studi diversi hanno dimostrato che altri metaboliti, tra cui l’acido isovalerico, l’acido metilbutirrico e isobutirrico, prodotti nel vino dallo stesso lievito, oltre a determinare note rancide fanno aumentare, fino a tre volte, la percezione dei fenoli volatili.
Inoltre, non è raro riconoscere il difetto in vini semplici con concentrazioni basse di fenoli volatili, pari a 200μg/L, mentre non s’individua il difetto in vini strutturati e affinati, con concentrazioni superiori agli 800μg/L. Per esempio, la soglia di percezione in vini ottenuti da uve Barbera risulta più bassa rispetto a quella di vini più strutturati ottenuti da uve Nebbiolo.
Perché è un problema?
Un vino “brettato” viene generalmente sottoposto a trattamenti più o meno aggressivi, finalizzati all’eliminazione del difetto, che determinano spesso un abbassamento del valore commerciale del vino causando ingenti perdite economiche per i produttori. Inoltre, in alcuni casi, la contaminazione può protrarsi fino all’imbottigliamento, soprattutto nei vini in cui oltre al basso tenore di solforosa si tende a limitare o evitare la filtrazione, manifestando gli effetti negativi dopo mesi nelle bottiglie già avviate alla commercializzazione. In questi casi il danno per l’azienda non è solamente economico, ma risulta rilevante anche in termini di immagine.
Le analisi di laboratorio
Questo problema non è nuovo, infatti, oltre ad essere molteplici i prodotti in commercio per il recupero dei vini difettati (risoluzione del problema “a valle”), sono anche numerose le analisi che i laboratori possono eseguire per monitorare la presenza del lievito Brettanomyces nel vino in modo da intervenire preventivamente “a monte” del problema stesso. A tal proposito, il Centro Analisi Ricerche Agroalimentari Enocontrol S.c.a.r.l. di Alba, presso il quale è stato svolto questo studio, effettua principalmente tre analisi sui campioni di vino:
• analisi cromatografica in High Performance Liquid Chromatography per la quantificazione delle concentrazioni di 4-etilfenolo (μg/L) e di 4-etilguaiacolo (μg/L);
• analisi microbiologica colturale in piastra su terreno agarizzato selettivo differenziale Dbdm (Dekkera/Brettanomyces Differential Medium) per
la quantificazione delle cellule di Brettanomyces (Ufc/mL) vitali e coltivabili su terreno selettivo;
• analisi molecolare in Real-Time Polymerase Chain Reaction per la valutazione quali-quantitativa del Dna di Brettanomyces (cell/mL)
La ricerca
Partendo da questi tre metodi analitici, è stato condotto uno studio volto, in primo luogo, ad indagare il differente contenuto di 4-EF in 154 vini ottenuti da due diversi vitigni caratteristici del Sud Piemonte, ovvero il Barbera e il Nebbiolo.
L’analisi è stata eseguita sui campioni di vino consegnati al laboratorio Enocontrol S.c.a.r.l. dai produttori, i quali richiedevano almeno una delle tre analisi considerate.
Avendo a disposizione i dati relativi ai fenoli volatili in vini ottenuti da due vitigni differenti, si è dimostrata la presenza di una correlazione lineare, per entrambi i vitigni, tra 4-EF E 4-EG calcolando il rapporto più frequente tra i due metaboliti.
Sugli 80 campioni di vino presentanti concentrazioni di 4-EF di 200 μg/L, è stata condotta l’analisi microbiologica colturale per quantificare le cellule di lievito vitali e coltivabili.
Per 59 campioni di vino, essendo stata richiesta dal produttore anche l’analisi molecolare, è stata possibile una valutazione incrociata dei risultati ottenuti dalle tre analisi (microbiologica, molecolare e cromatografica). Infine, sono stati raccolti i dati relativi al contenuto di 4-EF in 368 vini, ottenuti da uve Barbera e Nebbiolo, appartenenti a 5 diverse annate, comprese tra il 2013 e il 2017, e sono stati messi in relazione alle differenti condizioni climatiche.
I risultati ottenuti
Dai risultati dell’analisi cromatografica condotta su 154 campioni di vino di cui 110 ottenuti da uve Nebbiolo e 44 da uve Barbera, è emerso complessivamente un contenuto di 4-EF molto vario, da pochi μg/L fino a circa 3000 μg/L per vini molto contaminati. Sebbene nei vini a base di uve Barbera si sia ottenuto un valore massimo di 4-EF leggermente più basso (2500 μg/L) rispetto a quello dei campioni a base di uve Nebbiolo (2928 μg/L), il valore medio è risultato maggiore: 392 μg/L rispetto a 376 μg/L per il Nebbiolo. Per entrambi i vitigni, circa il 50% dei campioni ha dato concentrazioni inferiori alla soglia di percezione (200 μg/L), circa il 40% dei campioni ha dato concentrazioni comprese tra 200 e 800 μg/L e solo il 10% ha dato concentrazioni maggiori di 800 μg/L. (GRAFICO 1) Dunque, per i dati presi in considerazione, non è emersa una relazione tra maggior contaminazione e tipologia vitigno.
Correlazione 4-EF E 4-EG
La presenza del 4-EF è accompagnata da quella del 4-EG: entrambe le molecole vengono prodotte attraverso la medesima via enzimatica partendo dagli acidi idrossicinnamici (ferulico e cumarico) presenti naturalmente nei vini. Mettendo in relazione le concentrazioni di 4-EF e 4-EG ottenute sia per i campioni di Barbera che di Nebbiolo si ottengono, come evidenziato in Grafico 2, due rette di regressione quasi coincidenti. Per i campioni a base Barbera il rapporto tra il 4-EF e il 4-EG è risultato compreso tra 1 e 19.28 mentre per i campioni Nebbiolo tra 1 e 25.08. Tale rapporto è più corretto ad alte concentrazioni mentre su basse concentrazioni è più difficile avere una buona correlazione.
Crescita su piastra per vini contaminati
Confrontando il dato cromatografico con quello microbiologico per gli 80 campioni con concentrazione di 4-EF maggiore di 200 μg/L, si notano delle discrepanze. Per i campioni Nebbiolo, ad eccezione di un ‘outlier’ che esce dal grafico, la maggiore crescita microbica si è osservata per i campioni con concentrazioni di 4-EF comprese tra 700 e 759 μg/L. Per i campioni Barbera, la crescita si è osservata a concentrazioni più alte, comprese tra 1000μg/L e 1200 μg/L. Ma l’aspetto più rilevante è che, in entrambi i casi, per circa il 60% dei campioni non è stata rilevata crescita o è stata rilevata, ma inferiore a 10 UFC/mL.
Confronto fra i tre diversi metodi di analisi
Comparando i risultati ottenuti dall’analisi microbiologica e molecolare condotta sugli stessi 59 campioni, si osserva una situazione particolare. In 46 campioni è stato amplificato il Dna mentre solo in 18 campioni è stato possibile rilevare la crescita di Brettanomyces: per il conteggio dei campioni positivi, in entrambe i casi, sono stati considerati anche i campioni dove è stato amplificato poco Dna oppure dove è stata rilevata poca crescita. Questi dati permettono di evidenziare un importante limite dell’analisi microbiologica, ovvero l’impossibilità di rilevare le cellule in stato Vbnc (vitale ma non coltivabile). L’ipotesi è che tra i 41 campioni negativi vi fossero anche compresi i casi Vbnc rilevati invece dall’analisi molecolare. Lo stato Vbnc viene raggiunto da molti microrganismi quando le condizioni ambientali diventano sfavorevoli e prevede una sequenza di cambiamenti morfo-fisiologici finalizzati alla sopravvivenza della cellula. Un aspetto rilevante dal punto di vista enologico è la riduzione delle dimensioni del lievito che quindi non viene trattenuto dai normali filtri utilizzati in cantina per trattare la massa. Quando le condizioni ritornano alla normalità, la cellula può riacquisire il suo stato vegetativo (coltivabile), attraverso un processo di riattivazione. Nella condizione Vbnc il Brettanomyces è vivo e attivo dal punto di vista metabolico, può pertanto produrre i metaboliti deterioranti, ma non cresce sui terreni utilizzati abitualmente in laboratorio e, dunque, non viene rilevato da conte su piastra Petri. La produzione degli etilfenoli può essere verificata da un esame olfattivo del vino, mentre può essere quantificata da analisi di tipo cromatografico; la vitalità del lievito è monitorabile attraverso metodiche di tipo molecolare come la qPcr oppure metodi di indagine microbiologica come la citometria a flusso con ibridazione in situ. I risultati ottenuti dall’analisi cromatografica confermano l’ipotesi delle cellule in stato Vbnc. In 28 campioni sono state rilevate concentrazioni di 4-EF maggiori della soglia di percezione (posta a 200μg/L) alla quale il difetto può già essere percepito dal consumatore. Di questi 28 campioni solo 18 sono risultati positivi all’analisi microbiologica, mentre tutti sono risultati positivi all’analisi molecolare confermando la maggiore attendibilità del dato molecolare. Infine è stata condotta l’analisi critica delle quantità di 4-etilfenolo in relazione ai dati di cinque diverse annate con condizioni climatiche differenti. Ciascuna annata è stata caratterizzata da eventi climatici imprevedibili e fuori stagione ma i dati relativi al 2013 e al 2017 sono i più rilevanti. Il 2013 è stato una delle annate più piovose degli ultimi 5 anni e, dal punto di vista analitico, è risultata quella con i valori di contaminazione più alti con valori medi pari a 417μg/L. Viceversa, un annata molto siccitosa come il 2017 ha fatto registrare livelli di contaminazione molto bassi con un valore medio pari a 52μg/L.
Previsioni
Ad oggi, le conoscenze scientifiche sembrano non riuscire a fare pienamente fronte al problema della presenza e della proliferazione di questo lievito nel vino, d’altronde l’instabilità delle condizioni agro-ambientali apre scenari difficili da prevedere e, di conseguenza, da affrontare.
Il cambiamento climatico, se su larga scala si sta concretizzando come una progressiva meridionalizzazione del clima, nel quotidiano si manifesta con fenomeni climatici estremi e del tutto imprevedibili.
Analizzando i fenomeni climatici verificatesi tra il 2013 e il 2017 si nota che l’unico “fil rouge” che collega annate così diverse ENOLOGIA 33 2/2019 è l’aumento nella frequenza, nell’intensità e nella persistenza di eventi climatici anomali ed eccezionali.
Come riportato in “Anteprima vendemmia 2017” redatto dalla Vignaioli Piemontesi S.c.a., tali eventi climatici spesso presentano segno opposto, per cui sta diventando sempre più “normale” assistere al susseguirsi nel corso dell’anno di episodi apparentemente in contrasto tra loro ma che in realtà risultano legati dal denominatore comune del cambiamento climatico.
Questo cambiamento a livello meteorologico si riflette anche in campo agricolo: così come è difficile prevedere un fenomeno climatico, è anche difficile prevedere come la vite risponderà, a livello fisio-patologico, a tale evento. L’ipotesi che può essere avanzata, osservando i dati raccolti, è che il complessivo aumento delle temperature tenda ad amplificare l’effetto dell’umidità in annate particolarmente piovose, favorendo la crescita fungina in generale e quindi anche la contaminazione da parte di Brettanomyces. Sicuramente sarebbe interessante ampliare questo studio con ulteriori dati per verificare questa correlazione.
Alla luce di quanto detto, i difetti organolettici originati da Brettanomyces sono ancora, tutt’oggi, riscontrati nei vini di tutto il mondo, tra cui quelli piemontesi. Alte concentrazioni di fenoli volatili e alte frequenze di contaminazione sono state riscontrate, in ugual misura, sia in vini ottenuti da uve Barbera sia in vini ottenuti da uve Nebbiolo. Tali evidenze analitiche contrastano con le aspettative: nei campioni ottenuti da uve Barbera erano attesi valori più alti di fenoli volatili, o frequenze più alte di contaminazione, proprio per la natura compositiva dell’acino d’uva.
Le uve Barbera abbondano, rispetto alle uve Nebbiolo, di acidi idrossicinnamici, sia nel succo che nella polpa; questi acidi si ritrovano in quantità importante anche nel vino Barbera e possono essere utilizzati dal lievito Brettanomyces per produrre metaboliti deterioranti facendo ipotizzare, quindi, un maggior rischio di contaminazione di questi vini rispetto ad altri ottenuti da differenti vitigni.
Per i campioni analizzati, sia durante il periodo di tesi sia in anni precedenti, non è stato osservato un diretto legame tra la contaminazione di Brettanomyces e la tipologia di vitigno. Una stretta correlazione è stata invece evidenziata tra la concentrazione di 4-EF e quella di 4-EG in tutti i vini analizzati.
Misure pratiche per la cantina
Indipendentemente dai fattori esterni come quelli climatici, geografici o varietali che possono influenzare o meno la contaminazione da parte di Brettanomyces, ciò che l’enologo può fare è prevenire tale problematica in cantina, monitorando i tre punti critici di controllo consigliati dagli esperti Minacci e Ferrari (Laboratorio ISVEA S.r.l., Poggibonsi – Siena). Il primo punto, sebbene scontato, viene spesso sottovalutato e, prevede il controllo della contaminazione della cantina da fonti esterne, quindi è buona prassi controllare i parametri di natura microbiologica su ogni prodotto in entrata in cantina come per esempio le uve.
Il secondo punto prevede la valutazione dell’efficienza delle procedure di sanitizzazione per identificare eventuali punti maggiormente a rischio di contaminazione o procedure inefficaci. A tale proposito è necessario valutare anche lo stato sanitario delle botti in legno attraverso la ricerca di Brettanomyces direttamente nelle acque di lavaggio delle botti.
Il terzo e ultimo punto prevede il monitoraggio, attraverso analisi di laboratorio, della contaminazione da parte di Brettanomyces in specifiche fasi del processo di vinificazione come, per esempio, alla fine della fermentazione alcolica e della fermentazione malolattica, sempre in caso di fermentazioni stentate.
Per i vini che si prestano bene all’invecchiamento come il Barolo Docg è imprescindibile una frequente attività di monitoraggio nel tempo delle masse in affinamento.
Alcune considerazioni finali
Generalmente, le analisi attualmente più richieste dai produttori vinicoli sono la quantificazione dei prodotti del metabolismo di Brettanomyces (4-etilfenolo e 4-etilguaiacolo) in Hplc e la quantificazione delle cellule coltivabili di Brettanomyces tramite semina su terreno solido selettivo Dbdm.
Dalla nostra indagine si evince che le informazioni ottenute da queste due analisi non sempre permettono di delineare il preciso quadro della contaminazione. Oltre al fatto che l’analisi in capsula richiede dei tempi tecnici lunghi (il lievito cresce su terreno agarizzato in 8-10 giorni), che non sempre sono compatibili con le esigenze pratiche di cantina, questo metodo permette di rilevare solo le cellule coltivabili escludendo dalla conta le cellule di Brettanomyces in stato Vbnc.
Quindi il rischio di falsi negativi utilizzando il metodo colturale, come dimostrato dallo studio riportato, potrebbe risultare in alcune situazioni troppo elevato e decisamente pericoloso. Come dimostrato, solo integrando questi dati con quelli ottenuti dall’analisi molecolare è possibile valutare con esattezza lo stato della contaminazione. Le moderne tecniche di analisi molecolare, identificando un preciso frammento di Dna, sono sensibili anche alla presenza di cellule in fase non attiva di sviluppo comprese quelle che sono vitali ma non risultano coltivabili qualora seminate su terreno selettivo.
Forniscono informazioni qualitative e quantitative, più precisi e affidabili in tempi brevissimi. Il principale problema riscontrato in questa analisi è il costo che, sebbene venga ridotto significativamente in caso di applicazione intensiva, può risultare alto soprattutto per la cantina che non ha mai dovuto confrontarsi con tale problematica. Durante il periodo di tesi, l’analisi in realtime Pcr è stata infatti richiesta da poche cantine, molte delle quali avevano in passato già avuto contaminazioni da parte di Brettanomyces con perdite importanti dal punto di vista economico; periodicamente effettuano dei controlli “massivi” su tutte le vasche e hanno inserito queste analisi nella loro routine analitica.
Di fronte a queste evidenze, per il futuro si auspica un incremento di richieste di analisi molecolari soprattutto per i vini destinati all’invecchiamento in botte di legno, periodo durante il quale è altissimo il rischio di contaminazione da parte di Brettanomyces. D’altronde, in tutti gli ambiti, investire sulla prevenzione è il modo più efficace di risparmiare.