L'Editoriale Numero: 02 / 2021

Chi fuor li maggior tui?

Il recupero da parte degli scienziati delle origini e delle parentele dei vitigni moderni è un lavoro importantissimo che deve farci riflettere sul futuro e spronarci a una maggiore sensibilità e attenzione verso le attività e le politiche di ricerca

Alessandra Biondi Bartolini
Chi fuor li maggior tui?

Non è mai facile per la scienza e le sue scoperte inserirsi tra le pagine dei media e in quelle  della comunicazione del vino e sebbene gli argomenti in grado di apportare fascino e novità nel racconto dei territori e dei prodotti sarebbero davvero molti, questo non avviene quasi mai. Il quasi è però d’obbligo, perché c’è un tema di ricerca che spesso riesce a superare il muro e a  raggiungere le prime pagine ed è lo studio della genetica applicato alla genealogia dei vitigni.
Il motivo di tanto successo non deve stupire perché fa parte del nostro bisogno di conoscere i legami con la storia, i popoli, le migrazioni e le radici. È la stessa necessità di Farinata degli Uberti nell’incontro con Dante di conoscere i suoi antenati per capire chi gli sta davanti.
Da un lato c’è quindi un innato interesse per le parentele: dalla Bibbia, alle storie delle famiglie reali europee, fino ai personaggi di Tolkien, sapere chi sono il padre, la madre o il trisavolo dei personaggi che incontriamo nelle storie narrate ci ha sempre coinvolto e interessato.
Dall’altro c’è la fascinazione per i metodi e le possibilità date dalla genetica: il pubblico è attratto dalle indagini di CSI e lo è anche dalle scoperte sulle parentele dei vitigni.
Le ricerche di genetica come quella di Stefano Raimondi e i suoi colleghi che svela le parentele dei vitigni piemontesi a pagina 22 o quella coordinata dall’Università di Pisa della quale si parla nella rassegna stampa “Due Passi nella Scienza” di pagina 2 o anche la riscoperta di un vitigno quasi scomparso nell’Oltrepò Pavese raccontata da Cinzia Montagna a pagina 52, sono quindi la dimostrazione non solo che la scienza può portare il suo contributo di grande valore alla narrazione   del vino, le varietà e i territori, ma che lo potrà fare sempre meglio, raccontando di sé, del suo percorso e dei suoi metodi, oltre che del risultato.
Perché purtroppo non è ancora questa l’immagine della ricerca scientifica che arriva sulle prime pagine e sui media non specializzati: frasi come “Lo dice la scienza” o “È scritto nel DNA” suonano spesso come affermazioni monolitiche, suggelli a una verità calata dall’alto e non è questo che il mondo della scienza deve comunicare al pubblico.
Questa narrazione della genetica che è stata definita la “mistica del DNA”, invece non offre spazio alla comunicazione dell’incertezza e del percorso di continuo e sempre più rapido miglioramento dei metodi di indagine, che permette di perfezionare i suoi risultati passo dopo passo.
Se nei risultati della ricerca degli ultimi anni il Sangiovese è una volta padre, una volta figlio e poi di nuovo padre del Ciliegiolo, non è per una forma di insicurezza degli scienziati, ma perché questo è il percorso scientifico, il processo necessario per raggiungere la conoscenza della natura ed è importante spiegarlo.
Ma le ricerche sulla parentela dei vitigni raccontano molto di più, della grande biodiversità non solo vegetale ma anche disciplinare e culturale necessaria per svolgerli, prima di tutto. Gruppi di ricerca collegati tra loro e collaborazioni tra biotecnologi, ampelografi, agronomi, storici, archeologi e antropologi, possono aiutare a ricostruire le rotte, le migrazioni e le contaminazioni dei vitigni che oggi consideriamo autoctoni, ma che in tempi più o meno recenti si sono spostati con i popoli. Ci sarebbe da spiegare poi del contributo dei Big Data, dell’importanza dei database internazionali che collezionano e mettono a disposizione degli scienziati le sequenze geniche delle varietà e le specie di vite di ogni regione del mondo e dell’importanza crescente delle tecniche di analisi statistica.
Ma per ricostruire la storia dei nostri vitigni e avere dati da elaborare occorre che gli ipotetici genitori e antenati, anche se quasi scomparsi o anche se oggi ormai privi di interesse enologico, possano essere analizzati. Il grande lavoro di raccolta del germoplasma viticolo, la costituzione delle collezioni e la necessità di conservazione, spesso disattesa dalle istituzioni e dai programmi di finanziamento, meritano anche questi di essere raccontati, in quanto la biodiversità della vite e di tutte le piante coltivate rappresenta un patrimonio culturale prezioso.
E infine la conoscenza del passato e la scoperta di quanto i nostri antenati abbiano fatto, trasportando, incrociando e migliorando le viti delle loro origini con quelle che hanno incontrato nel corso della storia e ponendo così le basi per quella che è la viticoltura moderna, forse potrebbero far riflettere anche sul futuro e sulle nostre chiusure o aperture alle nuove varietà, le loro definizioni e il miglioramento di quelle esistenti.
Insomma la ricerca dei genitori del Nebbiolo o del Sangiovese è solo la punta dell’iceberg di un lavoro di grande valore che i nostri scienziati stanno svolgendo: far conoscere anche la base sommersa potrà forse portare una nuova sensibilità verso le tematiche e le politiche della ricerca e magari impedire che il ghiaccio, almeno quello, si sciolga del tutto.