La catena di distribuzione del vino è complessa, ma soprattutto mutevole. Prendiamo ad esempio il sistema americano: dopo gli effetti nefasti del proibizionismo degli anni Venti, la legislazione riportò nella legalità il business ‘alcolico’, ma imponendo una ferrea suddivisione di ruoli, esplicitata nelle cosiddette “Tied House Rules”.
In pratica i venditori di alcolici erano legati (“tied”) ad uno specifico produttore. Ben presto si notarono gli effetti distorsivi anche di questo sistema, con dettaglianti costretti a vendere solo i prodotti di pochi fornitori. Si ritenne quindi di assicurare una tripartizione del sistema distributivo su tre livelli (il cosiddetto “Three Tier System”, ovvero: il produttore, il distributore ed il rivenditore). Questi soggetti non devono però essere collegati fra loro e ad oggi sono vietate le partecipazioni azionarie incrociate.
Tutto ciò non per parlarvi della distribuzione negli USA, ma per chiarire che la materia, apparentemente inconsistente (qualcuno compra qualcosa e lo vende a chi desidera …) è invece assai intricata, e non solo dal punto di vista legislativo. Anzi, le complicazioni più evidenti arrivano, e parliamo ora di fenomeni comuni ai mercati evoluti, dal mutare delle abitudini dei consumatori e soprattutto dall’evoluzione delle formule e dei luoghi di vendita. Infatti a sparigliare, e pesantemente, le carte, è arrivata la vendita diretta al consumatore, effettuata sia dal produttore sia dal distributore. Ciò, oltre a complicare il quadro legale di riferimento, fa saltare i rapporti commerciali di intermediazione e la sopravvivenza stessa di operatori e luoghi di vendita.
Oggi aziende produttrici grandi e piccole, pur non rinnegando (ma certo penalizzando) i propri intermediari commerciali, vendono direttamente una quota crescente di vino (grazie soprattutto all’on-line) al consumatore finale. È il cosiddetto canale DTC, ovvero “direct to consumer”, opportunità in crescita costante e salutata come salvifica da tantissimi produttori. Fenomeno assodato, direte voi. Sì, ma nel frattempo è successo che anche il distributore (a volte importatore/distributore) salta i propri naturali acquirenti (grossisti e dettaglianti) per vendere direttamente (e non tramite l’on–line) al consumatore. Il fenomeno si acutizza enormemente verso Natale con aziende e professionisti che comprano dal distributore (con prezzi all’ingrosso) spumanti e Champagne per la regalistica. Alcune di queste transazioni avvengono non esattamente alla luce del sole, con triangolazioni architettate dagli agenti di commercio, ma molte altre sono sotto gli occhi di tutti. Un esempio? Cash & carry che durante l’anno vendono solo a clienti dotati di partita Iva del settore food & wine ma ogni dicembre aprono all’acquisto ai possessori di qualsiasi partita Iva, attirando avvocati, notai, commercialisti proprio nell’unico momento in cui questi comprano, e sottraendo i guadagni al loro cliente ‘naturale’.
Che voglio dirvi? Che oggi il modello ‘fusion’ sta prendendo il sopravvento, ovunque; macellerie che non solo vendono la carne sia al consumatore sia al ristoratore, ma la servono anche cotta in un angolo del negozio, lo stesso per pescherie, panetterie, ecc. Enoteche che, per assecondare un cliente che sempre più chiede prodotti non a scaffale, divengono luoghi di prenotazione verso altre enoteche on-line (con marginalità risicatissime) o distributori/dettaglianti che consegnano anche il singolo pezzo. Bene, direte voi, occorre che anche i negozi vicinali si adeguino alle mutate esigenze. Ok, ma il passo successivo è che l’acquisto parta direttamente dallo smartphone del consumatore, tagliando fuori anche la residuale intermediazione dell’enotecario volenteroso. E gli agenti di commercio che girano nei negozi per raccogliere ordini? Quando saranno sostituiti da un portale ove il commerciante l’assortimento se lo compila da sé, scontistica compresa? E allora? E allora a breve la disintermediazione totale cambierà ancora il mercato del vino, e non ci sarà che da adeguarvisi.