L'Editoriale Numero: 02 / 2018

“È vietata ogni pratica di forzatura”. Ha senso questa frase?

Millevigne 2/2018 *** La norma imprecisa e arbitraria, e quella che ammette l’eccezione come regola, sono incentivi a considerare la legge non come un obbligo, ma come un suggerimento.

Maurizio Gily
“È vietata ogni pratica di forzatura”. Ha senso questa frase?

“La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini di cui all’art. 1 non deve essere superiore a tonnellate 18 per ettaro di vigneto a coltura specializzata. […]. In annate particolarmente favorevoli (…) su proposta del Consorzio di tutela della denominazione, […] possono aumentare, anche per singola tipologia, fino ad un massimo del 20%, la resa massima ad ettaro (per un totale 216 q/ha, ndr), da destinare a riserva vendemmiale […] È vietata ogni pratica di forzatura”.

Traggo questo estratto dal disciplinare di una importante DOC italiana. Non lancio invettive moralistiche su questi massimali di produzione, seppure appena appena generosi per una produzione di qualità. Ma la frase “E’ vietata ogni pratica di forzatura”, una specie di mantra presente in tutti i disciplinari, al cospetto di tali produzioni mi suscita una sonora risata. Perché insistere con una legislazione ipocrita? Siamo allo stesso livello della “annata eccezionale” che arriva tutti gli anni per consentire l’arricchimento.

La norma imprecisa e arbitraria, e quella che ammette l’eccezione come regola, sono incentivi a considerare la legge non come un obbligo, ma come un suggerimento. E a questa abitudine siamo già portati, non abbiamo bisogno di incoraggiamenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

Il tema è riemerso recentemente nel convegno che Millevigne insieme a Confcooperative ha organizzato lo scorso 27 marzo a Ricaldone, sul tema dell’uso razionale dell’acqua e dell’irrigazione a goccia, ma va al di là dell’argomento specifico. Dapprima una circolare ministeriale, in seguito una legge nazionale, la 238/2016, il cosiddetto Testo Unico del Vino, ha fissato il concetto che l’irrigazione di soccorso non è una pratica di forzatura, e quindi è ammessa anche laddove i disciplinari non la prevedano espressamente: quindi non si può negare la denominazione a un vigneto solo perché ha un impianto, ma solo se si accerta che vi si pratica l’irrigazione secondo una logica di “forzatura”. Ma chi e come stabilisce il confine?
Nella liturgia delle DOC c’è l’evidente sovrapposizione di due modi diversi di intendere la stessa cosa: da un lato si fissano regole molto specifiche per la viticoltura, dall’impianto, alla gestione, ai massimali di produzione per ettaro e per pianta (fissando una densità minima) e i parametri minimi di qualità delle uve (grado zuccherino), dall’altro si butta lì una frase sul divieto di ogni “forzatura”, che aggiunge un cappello arbitrario e sostanzialmente inutile a un insieme di regole che esplicitano lo stesso concetto. Infatti le interpretazioni a volte cambiano a seconda della regione e addirittura della provincia (vedi caso degli impianti a goccia). E questo vuol dire discriminazione.
Quella frase andrebbe cancellata, oppure spiegata. Ma non mi pare che il settore abbia bisogno di altra burocrazia e di altri elementi su cui esercitare controlli da parte di qualche controllore. Piuttosto bisognerebbe sfrondare tutto ciò che è soggettivo. Cos’è un fondovalle? Cosa vuol dire “comunque idoneo a garantire…?” “Non sufficientemente soleggiato”? Oggi i modelli digitali del territorio possono dare risposte precise sulla radiazione solare su un terreno, ma invece di usare la tecnologia scriviamo testi edificanti, a rischio del ridicolo.

In tema di irrigazione il Prof. Fino ha citato a Ricaldone l’esempio francese, in cui per i vini AOC l’irrigazione di soccorso, considerata pratica eccezionale attuabile solo in alcune regioni, deve essere autorizzata da un organismo ufficiale, sulla base di una richiesta della filiera e di un’analisi dell’andamento climatico.
Personalmente penso che, fissata l’idoneità di un sito e gli obiettivi viticoli (e questo i disciplinari già lo fanno), spetti al viticoltore definire i mezzi per realizzarli, nel quadro di ciò che la legge consente.
Tuttavia, poiché l’acqua è un bene prezioso che non è giusto sprecare, senza arrivare alla rigidità francese basterebbe che per i vini a DOP le regioni (almeno quelle che hanno un servizio agrometeo) decidessero di anno in anno se e quando consentire di aprire i gocciolatori per i vigneti in produzione (per le barbatelle è diverso…), sulla base del bilancio idrico dei terreni e delle esigenze della pianta nelle varie fasi fenologiche, aggiungendo così anche un elemento di assistenza tecnica. In questo modo si potrebbero contemperare le esigenze della produzione e della qualità del vino (perché lo stress eccessivo danneggia la qualità, oltre alla quantità) con quelle della sostenibilità.