L'Editoriale Numero: 02 / 2020

Etica, fra strada maestra e scorciatoie

Chi non ha provato una certa diffidenza quando un’azienda si presenta non per ciò che produce ma enfatizzando la correttezza che, a detta sua, la contraddistingue?

Matteo Marenghi
Etica, fra strada maestra e scorciatoie

No, non è un editoriale sul Coronavirus. Aggiungere le mie alle già tante speculazioni sugli impatti possibili sul mondo del vino non sarebbe di alcuna utilità; auguriamoci solo che il prezzo di tutto, in primis delle cose che non hanno prezzo, sia il meno salato possibile. Ne riparleremo poi, a bocce ferme; intanto vi invito a leggere l’articolo all’interno di questo numero (a pagina 43) che propone alcune primissime analisi dei dati di vendita.

Ora vi voglio invece citare “Business ethics in Britain”, un recente report prodotto dall’agenzia  YouGov che ha analizzato il comportamento dei consumatori e la reputazione delle imprese. Oggi – questo è l’assunto da cui lo studio parte – ogni azienda che produca beni o servizi, dalle scarpe da ginnastica, al cibo, ai viaggi aerei è disposta a vendere l’anima pur di apparire etica e sostenibile. Ma l’opinione pubblica sinceramente ritiene che le aziende stiano lavorando per conciliare principi e profitti o è piuttosto convinta che stiano speculando sul sempre più diffuso ‘senso di colpa’ del consumatore?

Pur essendo la domanda quanto mai legittima, non esiste una risposta dirimente. Qualche numero è stato tuttavia estrapolato. Mentre 6 inglesi su 10 valorizzano le aziende che hanno un ‘messaggio morale’, 3 su 10 ritengono che tali valori etici siano sbandierati fondamentalmente per trarre in inganno.  Dal punto di vista meramente commerciale viene stimato che la sostenibilità dei prodotti e dell’impresa spinge prioritariamente all’acquisto il 6% dei consumatori, mentre il 45% di questi si lascia più tradizionalmente ancora guidare dal prezzo. Pur esistendo poi un’importante avanguardia di consumatori definiti “catalyst”, che guidano i cambiamenti della società e sono più sensibili ai temi etici, non è scontato che agiscano sempre diversamente dal ‘consumatore medio’. Ad esempio, una cattiva reputazione aziendale, esaltata dai media, influenzerà negativamente le scelte di acquisto di entrambi i gruppi, che pure hanno sensibilità differenti. 

Una cosa è certa, esiste un ‘senso di colpa’ del consumatore rispetto a quanto (poco) stiamo facendo per la salvaguardia del mondo, per la tutela della salute dei consumatori e della dignità dei lavoratori. Esiste anche la consapevolezza che scegliendo un prodotto rispetto ad un altro possiamo favorire o penalizzare modalità di produzione più o meno impattanti, aziende più o meno benevole verso i propri dipendenti, gruppi molto o per nulla corretti nei confronti degli obblighi sociali (qui ad esempio risiede l’ampio capitolo dell’evasione fiscale che mette in cattiva luce alcuni player mondiali del business on line). Esistendo questo senso di colpa e questa consapevolezza è giocoforza che le aziende le utilizzino, giocando sulla comunicazione, quali leve per smarcarsi e guadagnare apprezzamento presso il consumatore.  

A questo punto il citato studio anglosassone si ferma. Ma se volessimo andare oltre e individuare un confine tra opportunità e plagio o anche solo fra utile e controproducente? Chi non ha provato una certa diffidenza quando un’azienda si presenta non per ciò che produce ma enfatizzando la correttezza che, a detta sua, la contraddistingue? Non fosse altro perché il giudizio morale su una persona o un’impresa dovrebbe essere lasciato al raziocinio del singolo, e non suggerito già “bell’e cotto” dal servizio marketing. Per questo i valori etici sono un enorme patrimonio se veicolati dalla storia e dalla reputazione dell’azienda, quindi indirettamente, e come tali riconosciuti dal consumatore. Ma questa è la strada maestra, lunga e difficoltosa, percorribile solo da aziende con storia consolidata e riconosciuta qualità … per tutte le altre, invece, esiste la scorciatoia o, se preferite, l’autocertificazione. Dichiarare di essere belli, buoni e positivi per l’ambiente è quindi pratica molto diffusa, e, proprio per questo, ormai poco efficace!