Economia e Diritto Numero: 01 / 2020

Il controllo della produzione nelle Denominazioni d’Origine

Profilo in chiaroscuro per il mondo del Prosecco Doc, soprattutto nelle possibilità di regolazione della produzione e quindi dei prezzi. Ma lo stesso accade in tante denominazioni italiche

Lorenzo Biscontin
Il controllo della produzione nelle Denominazioni d’Origine

Lo scorso dicembre si è tenuto a Treviso il convegno dal titolo “Il controllo della produzione e la sostenibilità dello sviluppo vitivinicolo”, organizzato dal Consorzio del Prosecco DOC. I lavori sono stati aperti dal presidente del Consorzio Stefano Zanette, che ha ricordato la strepitosa crescita mostrata dal Prosecco DOC in poco meno di un decennio con le vendite che nel 2019 hanno raggiunto 485 milioni di bottiglie (+4,5% rispetto al 2018). Crescita che non è stata solo a volume, ma anche a valore visto che il prezzo pagato per le uve tra il 2009 ed il 2019 è raddoppiato passando da 0,50 ad 1 euro/kg (dopo aver toccato anche il record di 1,40 euro/kg in anni recenti). La denominazione entra quindi adesso in una fase dove l’obiettivo principale sarà consolidare i risultati ottenuti sui mercati in questi 10 anni, valorizzando la percezione del prodotto.

Il prof. Carmine Garzia della Scuola Universitaria della Svizzera Italiana ha presentato i dati della situazione economico-finanziaria del settore vinicolo italiano, in base ai rilevamenti della banca dati Food Industry Monitor. La rilevazione permette di individuare le diverse dinamiche del settore del vino in totale e dei singoli comparti degli spumanti e del prosecco. Rispetto al vino totale l’analisi rileva per il Prosecco una crescita più sostenuta in termini di fatturato, ma una redditività sensibilmente inferiore. Questo si riscontrava sia nei confronti del vino totale che del comparto spumanti. Va ricordato che il totale spumante comprende anche il Prosecco, quindi se si separasse il Prosecco dagli altri spumanti le differenze sarebbero, in positivo e negativo, ancora più ampie.

Si tratta di dati per certi versi sorprendenti che vanno in direzione opposta alla crescita del prezzo delle uve ricordata da Zanette. Appare paradossale che una denominazione che con la vendemmia 2019 ha generato una Produzione Lorda Vendibile di 20.000 euro/ha possa avere dei problemi di scarso valore aggiunto.

Si auspica quindi un approfondimento dell’analisi per capire quanto il problema di bassa redditività delle aziende che spumantizzano ed imbottigliano Prosecco siano legati, ad esempio, al trasferimento del valore lungo filiera, oppure al peso rilevante delle cooperative, che tendono ad un utile di bilancio vicino allo zero poiché distribuiscono gli utili ai soci attraverso la valorizzazione dei conferimenti.

Resa in vigna e qualità

Diego Tomasi, Direttore del CREA di Conegliano, ha presentato i risultati delle ricerche sugli effetti delle variazioni produttive rispetto alle caratteristiche qualitative delle uve Glera.

La produzione per ettaro non ha effetti significativi sul grado zuccherino, soprattutto nei vigneti di pianura, mentre all’aumentare delle rese cala l’acidità. Ancora più marcata è la riduzione dei componenti aromatici al crescere della produzione, ancora una volta soprattutto in pianura. Infatti diradamenti in vigneto hanno portato un incremento significativo dei componenti aromatici in pianura, mentre non si sono osservati effetti in collina.

Interessante “l’equazione” della resa/ha presentata dal dott. Tomasi per ricordare tutte le componenti che portano alla produzione del vigneto:

q.li uva/ha= ceppi/ha x gemme/ceppo x fertilità gemme x acini/grappolo x peso degli acini

La componente principale nel determinare la variabilità produttiva sembra essere il peso del grappolo, che è legato all’andamento climatico nel periodo tra l’invaiatura e la maturazione.

L’altro elemento modificatosi nel corso degli anni a causa del riscaldamento globale e del miglioramento delle tecniche agronomiche è la fertilità delle gemme. In particolare l’aumento della temperatura ed una maggior irradiazione solare nei mesi da aprile a luglio dell’anno precedente favoriscono un aumento della fertilità delle gemme che si traduce in rese/ha più alte.

Un contributo diverso rispetto agli strumenti normalmente utilizzati nel mondo del vino è stato portato da Edoardo Mollona, esperto di modelli di gestione per il coordinamento dell’offerta dell’Università di Bologna. Il prof. Mollona ha fornito il quadro teorico in cui si muove questa disciplina e gli effetti delle diverse problematiche che si sono osservati costantemente nei settori più diversi.

Il coordinamento strategico riguarda il coordinamento della produzione ed il coordinamento dei prezzi e le relative problematiche derivano dalla razionalità limitata e/o comportamento opportunistico da parte degli operatori del mercato. L’efficacia delle politiche di coordinamento si riduce quando nel settore:

  • è presente un grande numero di imprese;
  • queste imprese hanno dimensioni, strutture organizzative e visioni molto diverse;
  • i prodotti delle diverse imprese sono facilmente sostituibili tra loro;
  • c’è incertezza sugli scenari futuri;
  • le transazioni sono complesse/riservate per cui i prezzi applicati dai diversi operatori sono poco conosciuti e/o difficilmente confrontabili.

Gli strumenti indicati dal Prof. Mollona per ovviare a questi problemi sono:

  • un osservatorio della domanda che stimi costantemente la dinamica dei consumi;
  • un’analisi delle barriere all’entrata ed il monitoraggio della capacità produttiva (che nel caso del Prosecco DOC è interamente sotto il controllo del consorzio);
  • il monitoraggio delle code di ordini nella filiera produttiva per migliorare la pianificazione. E qui conviene ricordare la rigidità intrinseca del settore vinicolo dove, soprattutto per i vini che si consumano nell’annata, la disponibilità di materia prima è fissa ed immodificabile tra una vendemmia e l’altra.

I confronti con la Champagne

Interessante la relazione di Maxime Toubart, presidente dell’Associazione dei viticoltori della Champagne e quindi anche co-presidente del Comitato Interprofessionale del Vino Champagne (CIVC), l’organismo che dal 1941 gestisce il settore dello Champagne.

Toubart ha sottolineato che alla base delle strategie dello Champagne c’è la consapevolezza di dover necessariamente collaborare sia da parte delle Maison (spumantizzatori) che da parte dei viticoltori. L’origine di questa volontà si trova innanzitutto nei numeri: i 16.000 viticoltori infatti producono il 90% dell’uva utilizzata per la produzione di Champagne, mentre le Maison producono e vendono il 76% delle bottiglie. Questa necessità si è ulteriormente rafforzata da quando in Champagne si è arrivati a coprire tutta la superficie disponibile per il vigneto e quindi la crescita può derivare solamente da un aumento del valore del vino venduto.

Una gestione congiunta del marchio e del sistema Champagne che si riflette nella struttura organizzativa, paritetica a tutti i livelli, cominciando dai 2 co-presidenti: uno il presidente dell’Associazione delle Maison e l’altro il presidente dell’Associazione dei Viticoltori. Il controllo “sovietico” della filiera, come l’ha definito Toubart, da parte del CIVC si realizza a tutti i livelli registrando tutti i contratti compravendita dell’uva e del vino in un sistema che coinvolge, oltre a viticoltori e Maison, anche gli spedizionieri.

Fulcro di tutto il sistema di gestione è l’accantonamento a riserva di una parte rilevante della vendemmia. Ogni anno viene accantonato a riserva circa il 60% della produzione e nelle cantine delle Maison si trovano in stock oltre 1 miliardo di bottiglie, a fronte di vendite annuali che si aggirano sui 300.000 pezzi.

Questo elevato livello di scorte evidentemente richiede un’ottima capacità finanziaria, ma presenta alcuni grossi vantaggi. Permette ai viticoltori di regolare l’offerta della materia prima in base all’effettivo fabbisogno delle Maison, garantendo comunque un buon reddito nel periodo medio-lungo, e di finanziare i costi di rinnovo del vigneto. A loro volta le Maison sono in grado di modulare l’offerta di Champagne in base all’andamento di domanda del mercato, evitando sia le situazioni di carenza che quelle di eccesso di offerta.

Se non è la quadratura del cerchio, anche lo Champagne non è immune a tensioni di prezzo per le strategie delle Maison (da alcuni anni la catena di discount Aldi ha impostato la propria penetrazione nel Regno Unito puntando sui prezzi bassi dello Champagne come prodotto civetta), sicuramente è un sistema che permette di mantenere la libertà imprenditoriale all’interno di un intervallo in grado di assicurare la sostenibilità economica a tutti gli attori coinvolti.

Importante notare che questo sistema si fonda sulla caratteristica dello Champagne di essere un vino invecchiato e quindi presenta molti limiti ad essere mutuato in realtà di vino d’annata, come i Prosecco DOC e DOCG o l’Asti DOCG.

Produzione: le opzioni di controllo

Proprio dall’esperienza dell’Asti DOCG è partito Michele Antonio Fino, professore di Diritto all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, nell’analizzare gli strumenti giuridici applicabili in Italia per controllare la produzione. Strumenti che appaiono spuntati, soprattutto se confrontati con l’esperienza del CIVC.

I Consorzi di Tutela infatti sono organismi riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) a cui sono attribuite funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale delle rispettive Denominazioni. Non sono riconosciuti come organizzazioni interprofessionali e quindi non possono intervenire nel determinare i prezzi minimi. Possono però attivare misure di controllo della produzione con il blocco degli impianti e con la riduzione delle rese massime per ettaro, sia dell’uva classificabile come DOC che come produzione totale.

Interventi però difficili da modulare, con il conseguente rischio di introdurre ulteriori distorsioni nel sistema. Il blocco degli impianti crea un limite alla produzione massima che può essere modificato solo nel medio periodo, considerando che dal momento delle nuove autorizzazioni alla piena produzione dei nuovi vigneti passano almeno 4/5 anni sommando i tempi burocratici a quelli agronomici. Un periodo di tempo in cui la tendenza all’aumento della domanda che aveva portato allo squilibrio tra domanda ed offerta può crescere o diminuire, cambiando, anche profondamente, lo scenario nel momento in cui la nuova produzione arriva effettivamente sul mercato.

Inoltre, il blocco degli impianti opera in modo “asimmetrico”, nel senso che non permette di ridurre il potenziale produttivo della Denominazione a fronte di un calo della domanda.

Questa situazione può essere affrontata dai Consorzi con la decisione di ridurre le rese/ha. La teoria economica e l’esperienza sul campo insegnano però che questo rimedio frequentemente si rivela peggiore del male, poiché crea un’offerta di vino declassato che entra in competizione con quello a Denominazione.

E’ bene ricordare che i superi di prodotto nel Prosecco o nell’Asti sono vini che presentano esattamente le medesime caratteristiche degli equivalenti vini DOC, poiché prevengono da uve prodotte nello stesso modo dai medesimi vigneti e spumantizzati con gli stessi metodi dalle medesime cantine. Quindi sul mercato si ritrovano due vini che hanno la stessa qualità intrinseca oggettiva, ma con prezzi nettamente diversi. E il mercato è meno sprovveduto di quanto talvolta si pensi in ambito produttivo. Quanto più cresce la quota di vino “declassato” sul totale proveniente dai vigneti DOC e tanto più si innesca un circolo vizioso in cui questo erode il valore del (equivalente) vino DOC, sia in termini di quantità che di prezzo medio.

Da notare una volta di più come queste problematiche non si presentino con il meccanismo della riserva applicato in Champagne.

Lo strumento delle organizzazioni professionali d’altra parte si è rivelato spesso scarsamente efficace nell’agricoltura italiana in generale e quasi nulla nel settore vitivinicolo. Lo dimostra anche il fatto che non ci sia stata la volontà di attivare un’organizzazione professionale dopo l’abolizione nel 2016, perché non conforme alla legislazione comunitaria. Purtroppo in assenza del controllo e della mediazione della Pubblica Amministrazione gli operatori del settore faticano a vedere quell’utilità/necessità di collaborare, che è invece alla base del funzionamento del CIVC. Vale la pena sottolineare come nessuno strumento legislativo, per quanto cogente e costrittivo, potrà mai sostituirsi alla mancanza di fattiva volontà delle parti.

Per superare la storica diffidenza tra viticoltori e cantine di trasformazione il primo passo auspicabile è che la parte agricola parli con una voce sola ed altrettanto faccia la parte industriale.