L'Editoriale Numero: 04 / 2017

La biodinamica funziona?

Millevigne 4/2017 *** Pubblichiamo la sintesi di una sperimentazione denominata INBIODYN, svolta in Germania presso la prestigiosa università di Geisenheim.

Maurizio Gily
La biodinamica funziona?

In questo numero di Millevigne pubblichiamo la sintesi di una sperimentazione denominata  INBIODYN, svolta in  Germania  presso la prestigiosa università di Geisenheim, in cui si confrontano, in un apposito campo sperimentale e con rigoroso metodo scientifico, tre modelli di viticoltura: integrata, biologica e biodinamica.

La sperimentazione vanta già dieci anni di attuazione e non è terminata, per cui si tratta di dati parziali. Con tutte le cautele legate a un’esperienza singola, per quanto rigorosa, cautele che gli stessi autori dello studio non mancano di raccomandare, tali dati parrebbero smentire la teoria per cui la biodinamica sarebbe soltanto “fuffa”. 
Sebbene le differenze più marcate si osservino tra la tesi convenzionale e le due tesi biologiche, la tesi biodinamica sembra avere, sotto alcuni aspetti, un allungo in più. 
Personalmente sono convinto da tempo della necessità di lavorare per migliorare la vita dei suoli e ridurre l’impatto della chimica al minimo indispensabile; ma sono sempre stato scettico sugli effetti dei preparati biodinamici, distribuiti in dosi bassissime e a seguito dell’operazione di dinamizzazione, che, per come viene attuata, mi ha sempre fatto pensare al pentolone del sabba.
Il punto non è che certi fenomeni non siano spiegabili scientificamente, o che non lo siano ancora: questo non sarebbe così insolito. Piuttosto sono le modalità attraverso cui Rudolf Steiner arrivò, a inizio novecento, a definire certi protocolli di lavoro a sollevare dubbi:  e cioè non attraverso il classico metodo galileiano (osservazione, ipotesi, esperimento, matematizzazione) di cui si nutre la scienza, ma tramite una sorta di rivelazione, nel quadro di una concezione metafisica del mondo naturale che il filosofo definisce antroposofia.

Un punto in cui la biodinamica e le acquisizioni scientifiche più recenti trovano in qualche modo un terreno comune è quello della biostimolazione. Nella dottrina agronomica classica il ruolo della sostanza organica e dei composti umici nel suolo è principalmente duplice: fornire elementi nutritivi alla pianta in modo lento e progressivo grazie alla liberazione degli ioni minerali legata all’attività metabolica dei microrganismi, e migliorare la struttura del suolo attraverso la formazione di piccoli aggregati grazie ai colloidi umici: ma sempre più importante appare oggi una terza attività, quella di condizionare lo sviluppo delle piante e la loro resistenza agli stress biotici e abiotici, attraverso meccanismi non del tutto chiari, legati alla produzione di fitormoni e composti ed enzimi di varia natura, nonché al condizionamento del “microbiota endofita” cioè la comunità di microrganismi che vive all’interno della pianta e a quello della rizosfera, che vive nell’area esplorata dalle radici. E questo è anche il senso di numerosi preparati che oggi vengono proposti, anche dall’industria, e che comprendono consorzi di microrganismi, estratti vegetali (di alghe, di agrumi e altro) e animali (come il chitosano). Anche il mondo minerale entra in gioco, con l’utilizzo non solo del “cornosilice” o preparato 501 della biodinamica, ma anche di altri derivati da rocce come il caolino e la zeolite, di cui si conoscono proprietà repellenti verso gli insetti e altre proprietà meccaniche di interesse per la difesa da vari parassiti e per migliorare la resistenza a stress ambientali. 
Tornando al corno, il nostro Andrea Fasolo illustra brevemente quello che si sa del preparato 500 a livello di composizione chimica, e si tratta senza dubbio di dati interessanti, anche se le “forze vitali” non sono esprimibili, secondo la biodinamica, attraverso i numeri di un’analisi. A proposito, se il corno fosse di toro invece che di vacca funzionerebbe lo stesso o verrebbe meno il transito delle “forze sottili” che secondo  Steiner  il cosmo trasmette alla terra attraverso l’antenna della bovina madre? 
Come vedete, il mio scetticismo è caparbio… anche a dispetto del fatto che il metodo biodinamico sia stato adottato da aziende tra le più prestigiose del mondo, dalla Francia, al Cile, all’Italia, alla California. 
Ma atteniamoci ai fatti, che sono esposti dal  Prof.  Kaurer  e collaboratori nelle pagine che seguono.
Ne approfitto per ringraziarli tutti, insieme al direttore della facoltà  Hans Schultz, già noto ai nostri lettori (“La tipicità del Riesling”, Millevigne 3/2016) per averci consentito di pubblicare, primi in Italia, questo lavoro, che non mancherà di far discutere.