L'Editoriale Numero: 01 / 2022

Salirò, salirò (siamo seduti sull’orlo di un vulcano)

Mai il titolo di un nostro editoriale fu forse più profetico: la tragedia umana della guerra in Ucraina, scoppiata quando già avevamo chiuso questo numero, non fa che aggiungersi alle crisi da tempo in corso, aggravando la situazione dei produttori per ciò che riguarda l’acquisto delle materie prime, in particolare l’energia, e il senso di precarietà e insicurezza per l’economia e i mercati

Alessandra Biondi Bartolini
Salirò, salirò (siamo seduti sull’orlo di un vulcano)

I più giovani probabilmente non lo ricordano ma ci siamo già passati: tra il 1973 e il 1974 i prezzi dell’energia elettrica e dei carburanti salirono e le auto si fermarono. In quel momento, passato alla storia con il nome di austerity, con le strade vuote e le domeniche a piedi, ci rendemmo conto forse per la prima volta di quanto il modello economico che si stava affermando fosse dipendente dalle fonti di energia e come il loro approvvigionamento fosse tutt’altro che sicuro e controllabile.

Quando le risorse necessarie per lo sviluppo scarseggiano la storia ci insegna che si fanno guerre e aumentano i divari. L’energia è il bene conteso nel mondo moderno, e oggi sappiamo anche che per dare un futuro al pianeta occorre cambiare il modo di produrla e consumarla.

E infatti rieccoci: da un parte le crisi internazionali, i venti di guerra e la decarbonizzazione dei paesi industrializzati, e dall’altra i prezzi dell’energia che salgono fino a un costo complessivo enorme, che secondo quanto riportato dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani rischia di superare il PNRR.

I cambiamenti climatici impongono di ridurre la quota di energia prodotta nelle centrali termoelettriche e rivolgersi alle fonti rinnovabili. Ma è proprio la crisi climatica che ci mette di fronte all’evidenza che anche queste non sempre rappresentano una risorsa sicura e garantita: nel momento in cui scrivo nelle regioni del Nord, dove sono concentrate la maggior parte delle centrali idroelettriche, che producono il 40% dell’energia green italiana, non piove da più di due mesi e i bacini non si riempiranno per effetto dello scioglimento di nevi che non ci sono.

Secondo le stime di Unione Italiana Vini il caro energia nel 2022 peserà sulle aziende vitivinicole per un costo di 600 milioni di euro e si andrà a sommare ai rincari e alla difficoltà di approvvigionamento di materie prime secche come cartone, vetro, tappi e pallet e all’impennata dei prezzi dei trasporti e dei container. Un costo complessivo che non può che portare a una revisione dei listini.

Divenire più sostenibili e adottare modelli produttivi a ridotto uso di input è sicuramente l’obiettivo attuale più importante, ma occorrono una strategia, una regia e degli investimenti. Il rischio che questo avvenga semplicemente perché le aziende non riescono a fare il pieno al trattore, acquistare i prodotti per la difesa o pagare la bolletta per accendere il gruppo frigo e stabilizzare i vini, può avere dei costi enormi sulla sopravvivenza di molte imprese, l’occupazione e la qualità stessa.

Un settore in ripresa nel quale i numeri delle esportazioni registrano segni positivi e incoraggianti come quello del vino italiano non può sicuramente permettersi di perdere e lasciare indietro eccellenze, prodotti, territori e soprattutto persone.  Ma deve essere tutta la filiera a reagire, perché il rischio che i consumatori, di fronte a un aumento dei prezzi e a una ridotta capacità di spesa (le bollette le paghiamo tutti), rivedano i loro modelli di consumo è di tutti, dal grappolo alla bottiglia, dalla cantina allo scaffale. Forse mai come adesso è stato chiaro come la sostenibilità possa affermarsi solo se condivisa in tutti i suoi valori, ambientale, economico e sociale. Riflessioni che parlano di coesione e di necessità di fare rete per cogliere le opportunità del cambiamento e per condividerne le difficoltà in un modo nuovo e più etico di fare economia, sono emerse anche dall’analisi fatta da The Wine Net, rete di sette importanti cantine cooperative. Così come è emersa la constatazione che il dialogo necessario per portare a questa condivisione si arresta spesso purtroppo a un certo punto della filiera.

I claim della grande distribuzione, che fanno della sostenibilità la loro bandiera con operazioni che spesso odorano di greenwashing ma talvolta forse anche di “social-washing”, tra le righe dicono molto: quando dicono che la loro catena “sei tu” non si rivolgono a quella parte di comunità che lavora per rifornire gli scaffali, quando “il carovita sale e i nostri prezzi scendono” il costo non erode i loro margini, quando rendono “accessibile la qualità a un prezzo equo”, i “grandi del risparmio” e della “spesa intelligente”, che non aumentano mai i prezzi, stanno facendo ricadere la maggior parte del rischio sui produttori.

Quella che potrebbe essere un’operazione di trasparenza utile per sgombrare il campo dal sospetto che l’aumento dei prezzi sia legato a operazioni di speculazione e rafforzare il rapporto di fiducia tra chi produce, chi distribuisce e chi consuma, si arresta di fronte al muro di gomma di un comparto (non di tutto ovviamente) che anche nel corso della pandemia e forse grazie ad essa non ha mai smesso di crescere.

I segnali dall’interno del settore però sono positivi e i produttori stanno reagendo con spirito di iniziativa, capacità di adattamento e qualche equilibrismo tra accordi interprofessionali e di filiera, contratti, canali digitali e nuovi investimenti, alle avversità di una crisi che, lo abbiamo capito ormai, è qui per restare.

Per citare Daniele Silvestri solo guardando la situazione dall’alto, anche se “seduti sopra l’orlo di un vulcano” si riesce a vedere lontano, ma occorre procedere con cautela, un passo dopo l’altro e fare molta attenzione. È pur sempre un vulcano.