L'Editoriale Numero: 03 / 2016

L’etica del sughero

Millevigne 3/2016*** La concorrenza dei nuovi materiali ha spinto la filiera del sughero a un enorme sforzo di innovazione per superare i punti critici che questo materiale naturale, dalle proprietà meccaniche eccezionali, ha sempre presentato nel suo plurisecolare rapporto con il vino.

Maurizio Gily
L’etica del sughero

Sarà il mercato a decidere se il sughero (nelle varie tipologie) manterrà o meno la sua quota di mercato nella tappatura delle bottiglie di vino o sarà sopraffatto dalla concorrenza di altre chiusure molto competitive sia nel prezzo che nella qualità del risultato (soprattutto quella a vite).
La concorrenza dei nuovi materiali ha spinto la filiera del sughero a un enorme sforzo di innovazione per superare i punti critici che questo materiale naturale, dalle proprietà meccaniche eccezionali, ha sempre presentato nel suo plurisecolare rapporto con il vino: la variabilità, la possibile colosità, la possibile cessione di molecole indesiderate, tra cui il famigerato TCA, principale responsabile dell’odore “di tappo”. Ciò che ho visto in un mio recente viaggio in Portogallo mi porta a pensare che la “soluzione finale” di questo problema possa essere vicina, cambiando così i parametri di confronto.

Di questi aspetti tecnici avremo modo di scrivere prossimamente: qui voglio invece proporre una riflessione su ciò che rappresenta la filiera del sughero per i paesi dove si svolge. Cosa hanno in comune il vino e il sughero sotto questo punto di vista? Molte cose:

– il “terroir”. La quercia da sughero cresce in quasi tutte le regioni che si affacciano sul Mediterraneo e sulle coste atlantiche dell’Europa meridionale (Francia, Spagna e Portogallo). Ma non tutti i territori producono sughero della stessa qualità: come per il vino, la migliore (dal nostro punto di vista, quello enologico) è legata a particolari condizioni di clima e di suolo.

– La filiera del sughero valorizza le economie locali, perché, come la viticoltura di alta qualità, non può essere “delocalizzata”. Malgrado l’elevato grado di automazione che si è raggiunto nelle aziende più grandi, rimane una filiera ad alto contenuto di manodopera, e la stessa con elevata specializzazione, che significa distribuzione della ricchezza sul territorio. I paesi del Nord Africa (dove si produce per lo più sughero destinato ad utilizzi alternativi al “monopezzo”) impongono agli investitori stranieri la lavorazione della materia prima in loco per sostenere l’occupazione e favorire la formazione di personale specializzato. In Portogallo il lavoro agricolo meglio pagato in assoluto è quello del “decorticatore”, che può guadagnare fino a 150 euro in una giornata, in un paese dove il salario minimo mensile è di 450 euro.

– il sughero migliore viene da terreni marginali, poveri di acqua e di nutrienti, per i quali sarebbe difficile se non impossibile un utilizzo agricolo. La foresta di sughero è una foresta naturale, tuttavia recentemente l’aumento della domanda ha spinto l’industria del sughero a sperimentare la messa a coltura di terreni marginali come una vera e propria coltura forestale.

– Sono infine da considerare gli aspetti legati all’ambiente e alla sostenibilità. La corteccia di sughero è isolante e brucia con molta difficoltà, per cui la foresta difficilmente è soggetta a incendi. La sughereta nel Maghreb è un presidio contro il fuoco e contro la desertificazione: dove finisce lei, comincia il deserto. Svolgerebbe questa funzione anche se non fosse sfruttata: ma la possibilità di ricavarne un reddito rappresenta, per le popolazioni locali, l’incentivo a difenderla.

– Il sughero è una produzione rinnovabile, che sfrutta l’anidride carbonica sottratta all’atmosfera per la sua produzione (anti-effetto serra); è un materiale del quale “non si butta via nulla”: anche nel caso delle plance della migliore qualità solo il 30% del volume va a fare tappi monopezzo: il resto è materia prima per altri utilizzi. Ed è impressionante la quantità di applicazioni che può avere, dall’edilizia alle industrie dell’auto e dei treni, dalla moda al settore aerospaziale. Questi impieghi, che prevedono spesso la combinazione e la mescolanza con altri materiali, sono in gran parte nuovi e frutto a loro volta di un grande sforzo di ricerca e di creatività. Si possono usare non solo gli sfridi di lavorazione ma anche il sughero già utilizzato in un primo ciclo, come nel progetto ETICO promosso dal sugherificio Amorim insieme a diverse organizzazioni no profit, che si basa sulla raccolta dei tappi usati e il cui ricavato è destinato a progetti di integrazione sociale.
Tutto ciò mi porta a pensare, senza alcun pregiudizio verso altri materiali (siamo stati tra i primi in Italia a scrivere di “screwcap”), che il sughero abbia ancora un grande futuro davanti a sé, sia all’interno che all’esterno del settore enologico.