Su “Facebook” e su alcuni blog ultimamente si vedono sempre più spesso immagini rubate da qualche produttore in qualche supermercato, discount, autogrill, che ritraggono scaffali con vini in promozione venduti a prezzi bassissimi. E naturalmente si scatena l’indignazione. “Non è vino”, “non è possibile vendere a questi prezzi”, “si distrugge l’immagine di una denominazione e di un territorio”.
In questi chilometrici “thread” interattivi si mescolano produttori, consumatori, intermediari, persone competenti e altre che si ritengono tali ma non sanno di cosa parlano; si leggono molte cose giuste, e molte sbagliate.
La recente pubblicità della catena di discount Eurospin, con testimonial Luca Gardini, per una linea di vini selezionati “integralmente prodotti” a prezzi molto bassi ha scatenato il popolo dei commentatori come non mai. Si tratta in gran parte di vini prodotti da cooperative (per cui la definizione di “integralmente prodotti” può piacere o meno ma ci sta a pennello, con buona pace di chi non l’ha capita, oppure non sa cosa sia una cooperativa). Chi li ha assaggiati dice che sono vini corretti o anche “buoni”.
In verità parliamo di casi che possono essere tra loro molto diversi e non sempre un prezzo sotto i due euro è incongruo. Ci sono vini prodotti in pianura con alte produzione per ettaro e bassi costi di produzione, vinificate in grandi strutture e vendute senza passaggi tra la cooperativa e la catena in grandi volumi, e qui un certo prezzo, soprattutto in una promozione, ci può stare. Il produttore di uve continuerà a prendere poco, ma un po’ di più di quello che avrebbe preso con la sola vendita del vino a cisterne ad altri imbottigliatori.
Diverso è il caso di denominazioni di origine di collina del Nord, con produzioni da disciplinare intorno ai 100 quintali per ettaro, qui è chiaro che una bottiglia a meno di 2 euro, pur con tutte le possibili economie di scala (che tra l’altro di solito in questi casi non ci sono) vuol dire che il viticoltore sta lavorando in perdita.
A prescindere dal caso di vini contraffatti, o frutto di frode commerciale (tagli con vini di altre regioni o di altre nazioni) o da quello di un’azienda che vuole liberarsi di scorte invendute, il poco valore su scaffale di un vino a DOP, se non è un fatto occasionale, dipende in genere da scarso valore di immagine della DOP stessa unitamente a scarso riconoscimento del marchio che la propone.
Non è mia intenzione qui ragionare su come si può valorizzare maggiormente una denominazione o un marchio, anche perché il discorso si farebbe lungo e non sarei la persona più competente per farlo.
L’osservazione che voglio fare, e che deriva anche da recenti colloqui con dirigenti di azienda e persone che operano sul mercato, è che ci sono cooperative che imbottigliano e vendono sotto costo: cioè, per ogni bottiglia perdono 10, 20, 30 centesimi rispetto a quanto potrebbero ricavare dallo stesso vino vendendolo a cisterne; oppure, o a volte nel contempo, pagano l’uva ai conferenti più di quanto potrebbero permettersi dato il prezzo della bottiglia. Il confronto tra prezzi di mercato delle uve e prezzi di certe bottiglie non è spiegabile diversamente. Gli attuali, bassi tassi di interesse le aiutano a indebitarsi per mantenere questo squilibrio, ma è chiaro che il giocattolo è destinato a rompersi e saranno i viticoltori a pagarne le conseguenze.
Perché lo fanno, è la domanda. Non è facile rispondere. Un motivo è quello di sbandierare l’orgoglio dei numeri: abbiamo fatto 10 milioni di bottiglia (e ci abbiamo rimesso un milione di euro, ma questo in assemblea non si dice). Un altro è la pessima idea di stipulare accordi commerciali capestro in base a cui qualcuno (un direttore commerciale, un procacciatore d’affari, un mediatore) prende una provvigione, o addirittura una quota fissa, per ogni bottiglia venduta, in modo praticamente indipendente dal prezzo di vendita. Alla base, anche una sostanziale incapacità di fare i conti su quanto costa realmente produrre una bottiglia.
So che sembra una follia, ma garantisco che in alcuni casi è successo e succede. Sono casi atipici rispetto alla norma, ma enorme è il danno che possono fare queste aziende: a sé stessi (fallimenti e fusioni sono destinati a fiorire nei prossimi anni), alle altre cantine che ragionano secondo una logica economica corretta, e alle denominazioni che rappresentano.
L'Editoriale Numero: 04 / 2016
Non sempre è più furbo chi fa più bottiglie
Millevigne 4/2016*** Vendere i vini sottocosto non danneggia soltanto l’azienda che lo fa.
Maurizio Gily
