Covid-19 è certamente il più potente strumento di cambiamento che, iniziando ora, agirà a livello mondiale. Certo, è anzitutto un terribile virus che ha portato sofferenza in un mondo che era peraltro già ostile, a livello sociale, per fette della popolazione purtroppo ampie. Questo va premesso prima di ogni ulteriore considerazione. Se però focalizziamo sugli scenari futuri, dal punto di vista socioeconomico, non si può prescindere dalla sua comparsa, perlomeno finchè non sarà possibile decretarne la scomparsa o la totale possibilità di prevenzione/cura per ogni individuo.
Accantonata in virtù di un, ahimè, oramai purtroppo validato senso di puro realismo l’idea che il Covid lascerà un mondo migliore di quello che aveva trovato, è però certo che lo lascerà diverso, in quale direzione dipende da noi.
Ad esempio la pandemia ci ha fatto toccare con mano quanto tutto e tutti siamo oramai collegati ed interdipendenti; non esiste più un evento di una certa importanza che non abbia un impatto su tutto ciò che lo circonda, vicino o lontano geograficamente. I comparti produttivi hanno appreso che possono collassare da un momento all’altro, non per questioni di dumping, pratiche commerciali scorrette o dazi, ma per improvvisi lock-down che possono e potranno essere eretti, per motivi sanitari e non solo. E chi ci pensava solo fino a pochi mesi fa? D’ora in poi occorrerà tenerne conto.
Produzioni consolidate, e veniamo all’esempio del vino, possono trovare improvvisamente bloccati i canali di vendita, ma potrebbero anche, col progredire delle acquisizioni medico-scientifiche o il divenire delle norme igienico sanitarie o nutrizionali o ambientali, trovarsi improvvisamente additate come non più idonee, o consigliabili, o peggio, … autorizzate. Esempi sono il cosiddetto “semaforo nutrizionale” sui prodotti alimentari (proposta benedetta da alcuni Paesi europei ed avversata da altri), o comunque altre modalità di comunicazione delle proprietà salutistiche di cibi e bevande, o di quelle ambientali della loro produzione. Abbiamo imparato che tutto è molto più effimero di quanto finora creduto, e dobbiamo necessariamente tenerne conto. Non tutto ciò è prevenibile, ma sarà sacrosanto, ad esempio, non puntare più su un unico canale distributivo o su un solo Paese di esportazione: se si blocca quello salta l’azienda!
Tornando all’esperienza sanitaria, peraltro non ancora conclusa, abbiamo anche improvvisamente riscontrato che locali e modalità di ricezione che ritenevamo imperituri, possono divenire non più idonei. Oggi ad esempio sono rivalutate le possibilità di incontrarsi in spazi aperti, mentre fino a ieri abbiamo investito in spazi chiusi in cui ricevere comitive, organizzare degustazioni ed eventi enogastronomici.
Alcuni ristoratori hanno potuto riprendere una, seppur minimale, attività di somministrazione solo stringendo alleanze con produttori vitivinicoli del territorio e piazzando tavoli e sedie lungo i filari delle vigne, con cucine da campo a latere. Le loro lussuose sale divenute improvvisamente inutili e inidonee ad accogliere i commensali. Quindi anche i luoghi del vino dovranno da oggi essere ripensati come modulabili e riadattabili a mutate e mutevoli esigenze e non cristallizzati in forme e fruibilità tradizionali. Il Covid impatterà quindi anche sull’architettura, pubblica e privata, dei luoghi di incontro, dei locali pubblici, degli esercizi commerciali come delle abitazioni. La possibilità di godere o meno di un balcone o di un terrazzino non ha per caso fatto la differenza fra famiglie recluse in casa per mesi?