L'Editoriale Numero: 04 / 2020

Oltre il bio …

La definizione di biologico riscontra sempre più consensi, ma per il vino non basta più

Matteo Marenghi
Oltre il bio …

Ritengo il segmento dei prodotti biologici assolutamente interessante. Ciò pur non essendo mai stato, da tecnico, né un tifoso sfegatato di questa modalità produttiva né, da consumatore, particolarmente affascinato da questi alimenti (al primo posto rimane il gusto e, salvo smentite scientifiche, non accredito questi prodotti di proprietà nutrizionali del tutto peculiari). Ho sempre ritenuto la modalità dell’agricoltura biologica positiva soprattutto per i risvolti ambientali della sua pratica e perché riporta una solida cultura agronomica all’interno di un mondo agricolo che a tratti, spesso ampi, l’ha persa. Altrettanto innegabile il grande valore di marketing del segmento bio, perché ha creato una nuova segmentazione per il mercato, permettendo  un posizionamento più delineato e profittevole per aziende altrimenti destinate a rimanere marginali in un mondo wine&food vieppiù massificato.

Non che le mie predilezioni abbiano un qualsiasi valore di riferimento, ma per dirvi anzitutto da che parte sto, ed evitando equivoci, di ogni genere.  A sigillare definitivamente il valore dell’attributo bio, anche nel segmento di Bacco, sono poi i numeri, che hanno ampiamente certificato il successo di questa categoria. Non altrettanto adamantino sarei però relativamente al futuro dei prodotti biologici, sempre in un’ottica di marketing, ma anche di scelte produttive di base. Perché? Perché il mondo è diventato più complesso di quello che divideva i prodotti in biologici o convenzionali, e bisognerà adeguarvisi. Nuove variabili si sono aggiunte, e definire biologico un prodotto può non rispondere più pienamente alla domanda del consumatore. Oggi i driver all’acquisto, fra gli scaffali, nei negozi specializzati e on line sono comuni e fanno riferimento a categorie che offrono una risposta netta a preoccupazioni sempre più diffuse: salubrità dei cibi, rispetto per l’ambiente ed il benessere animale, sapori e gusti naturali, assenza di coadiuvanti esogeni ed elevato valore identitario delle produzioni. Per questo il mondo bio non può più, da solo, rispondere ad istanze che si sono affinate e diversificate: notiamo forte la concorrenza di prodotti che, pur non essendo bio (o anche essendolo) evidenziano primariamente l’appartenenza ai segmenti “Health&Wellness” (cibi a ridotto contenuto di grassi o di zuccheri, cibi senza glutine…), ritenuti spesso più adatti a soddisfare specifiche esigenze. Ma anche attirano etichette che esaltano attributi vegetariani/vegani o dedicati alla sostenibilità ambientale, al commercio equo-solidale, ecc.. Insomma, si è creato un mondo complesso di opzioni al cui confronto il marchio bio appare perlomeno troppo generico e dunque meno efficace. 

Focalizzando sul segmento enologico, mentre ‘biologico’ riesce ancora bene ad identificare le modalità di conduzione della vigna (tranne che nel caso del biodinamico, che può essere considerato un sottoinsieme del biologico ma che non si accontenta delle norme di quest’ultimo) non altrettanto riesce a farlo sul prodotto vino, che per essere gradito ad alcune, crescenti, categorie di appassionati, abbisogna di ulteriori specificazioni. Caratteri che spesso si aggiungono al bio, ma che potrebbero anche sostituirlo, o superarlo. Mi riferisco non solo ai vini biodinamici, ma ai “vini senza solfiti aggiunti”; ai vini vegani, ai vini ottenuti con particolari modalità (macerati, non filtrati e/o chiarificati, vinificati in anfora, rifermentati in bottiglia, non dosati, …). In questo contesto si inseriscono, o dovrebbero farlo, i vini prodotti con vitigni resistenti/tolleranti alle malattie. Un mondo ancora sospeso fra l’accredito ufficiale nell’enologia che conta ed il limbo degli esperimenti mal riusciti, ma con già esempi virtuosi di bottiglie apprezzate, ben pagate e prodotte da marchi prestigiosi. Questi vini, sui quali personalmente ripongo fiducia, potrebbero/dovrebbero trovare un modo comune per dichiararsi al consumatore, anche togliendo dall’impaccio vitivinicoltori che, non potendo produrli in ambito Doc, avrebbero comunque un vessillo, importante ed identitario, da sfoggiare. Una definizione che spesso confina col biologico (per la sottesa filosofia ambientalista e il nullo o limitatissimo impiego di molecole chimiche a difesa dalle malattie), ma che certamente non è ad esso esattamente sovrapponibile.