L'Editoriale Numero: 03 / 2009

Primo: conservare il suolo

Millevigne 3/2009*** Le forti piogge primaverili hanno provocato movimenti franosi con gravi danni in molte aree viticole. Eventi imprevedibili o comunque inevitabili?

Maurizio Gily
Primo: conservare il suolo

Ogni volta che un disastro naturale ci colpisce ci interroghiamo: è stato favorito dall’uomo? Azioni che nessuno ha compiuto avrebbero potuto limitare il danno? Domande che solo in alcuni casi trovano una risposta esauriente. La casa dello studente dell’Aquila, che il terremoto ha spazzato via come un castello di carte, è uno di quei casi. Mi sono chiesto, e non sono il solo, perché in questi casi non si applichi la carcerazione preventiva per i direttori lavori, togliendo loro il tempo e il modo di ripulire le memorie dei computer e di disperdere le carte prima che le procure le sequestrino. E mi chiedo ancora se qualche condannato, ammesso che ce ne saranno, sconterà un solo giorno di detenzione per questo reato, o se la prigione sarà ancora una volta risparmiata a chi può permettersi un buon avvocato e/o gode di protezioni in alto loco. Ma a parte le considerazioni sul (pessimo) funzionamento della giustizia l’aspetto che intendevo trattare è il nostro atteggiamento rispetto alla prevenzione. Pochi anni fa proprio in Abruzzo vidi, sopra un tracciato stradale recente che tagliava malamente un versante a mezza costa, una frana che alla prima pioggia si era mangiata un bel pezzo di vigneto. Il proprietario, un anziano agricoltore, in causa con la Provincia, mi raccontò: “io lo dissi al capocantiere, guardate che qui frana tutto. E lui: sei un contadino, fai il contadino. Io sono un ingegnere, lo so io se frana o no”. Ma, ingegneri a parte (mi raccomando,non prendiamo quello del racconto come esempio della categoria), non tutti gli agricoltori oggi hanno la saggezza e la lungimiranza di quell’anziano. Forse sbaglio ma da anni dico e scrivo che, parlando di viticoltura “sostenibile”, oggi il problema più grave in collina è la perdita di suolo, e lo è anche, o soprattutto, per quanto viene sottovalutata. Non è solo una questione di buchi da riempire, di capezzagne che si abbassano e di difficoltà di accesso delle macchine. E’ molto più grave, parliamo di perdita irrecuperabile della più importante risorsa non rinnovabile della nostra viticoltura e dei nostri “terroir”. La “pedogesi”, cioè la formazione del terreno agrario dalla roccia sottostante e dai sedimenti soprastanti, è un processo di millenni, mentre la perdita di suolo generata da ruscellamenti e frane si consuma in pochi anni, a volte in poche ore. Chi pensa che questo non abbia incidenza anche sulla qualità del prodotto sbaglia di grosso: ce l’ha eccome. Non posso, per spazio e per competenza, indicare qui nel dettaglio tutto ciò che si può fare per frenare questa perdita. Ma il primo punto è sicuramente prendere coscienza del problema. Il secondo è l’attenzionead esso quando si realizza un nuovo impianto. In molti casi è richiesto o comunque consigliabile il progetto di un geologo. Ho anche sentito viticoltori accusare i geologi di non fare bene il loro mestiere, di essere superficiali. Non spetta a me difendere la categoria e nessuno è senza colpe, ma posso testimoniare di aver visto progetti di assetto idrogeologico ben fatti venire stravolti in fase di impianto, vuoi perché “troppo costosi” (ma quanto costa ritrovarsi poi il vigneto a valle?) vuoi perché, con la formazione di ciglioni e altri manufatti volti a ridurre le pendenze, avrebbero sottratto terreno al vigneto e allungato i tempi di lavoro delle macchine; vuoi per una gestione superficiale dei lavori di movimento terra; per tacere poi di versanti riconvertiti a vigneto dove il bosco è stato tanto bene per anni, e avrebbe potuto continuare a dare ombra e legname ad un mondo dove il vino non scarseggia di certo. Infine la gestione ordinaria del suolo: in molti casi, anche se meno che pochi anni fa, si continua a lavorare il terreno troppe volte, troppo in profondità e nelle stagioni sbagliate. Siamo nullità al cospetto della natura, e non possiamo fermare le ere geologiche: la terra continuerà a tremare, i fiumi a straripare, le colline a franare e i vulcani ad eruttare. Ma questo non può essere un alibi: basta vedere dove, e come, abbiamo costruito case e capannoni negli ultimi cinquant’anni per riflettere sul fatto che in passato, con conoscenze tecniche e scientifiche molto minori di oggi, persone semplici e senza istruzione scolastica sembravano saperla molto più lunga di noi.