L’idea che si era affacciata da tempo nella nostra mente era più o meno quella di incontrare i docenti di viticoltura italiani e intervistarli sul loro rapporto diretto con la vigna. Ne avevamo parlato durante una tavolata in famiglia, però all’annuncio del titolo “I Professori in vigna” qualche spiritoso aveva esclamato: “È proprio lì che dovrebbero stare: a zappare la terra!”. Questa reazione ci ha tenuti a freno per un po’ di tempo, dubbiosi che il titolo ammiccasse insolentemente ad un invito rivolto al prof di turno. Ora finalmente abbiamo deciso di avviare questa rubrica, a beneficio di tutti i tecnici viticoli, perché il professore di viticoltura è lì che dovrebbe stare: in vigna. Ma non per zappare la terra.
Premessa
Lo schema dell’intervista segue un percorso costituito da tappe secondo noi significative per il diretto richiamo al vigneto. Lo scopo che ci siamo preposti con questa rubrica è quello di raccontare con i docenti di viticoltura delle Università italiane il loro rapporto con la vigna e tutto ciò che ad esso è connesso dal punto di vista scientifico e sperimentale. In questo articolo abbiamo intervistato Giovan Battista Mattii, Professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (Dagri) dell’Università di Firenze.
Le radici
AV: Professor Mattii, per cominciare, relativamente alla viticoltura ci parli dei suoi maestri, della sua storia accademica e delle sue motivazioni.
G.B. Mattii: Il primo maestro che ho avuto sulla vite e sulla vigna in generale è stato mio nonno. Mio nonno aveva la sua azienda, poi seguita da mio padre e tuttora produttiva, anche se ormai non mi ci posso dedicare se non saltuariamente. In ogni caso la mia passione viene da lì, da quell’azienda. Nei vecchi poderi toscani la vigna era, tutto sommato, la coltura che assicurava la maggiore redditività rispetto a tutte le altre. Ricordo che mio nonno quando si vendemmiava mi dava un secchiello nel quale dovevo raccogliere a mano tutti gli acini caduti in terra, perché non si doveva perdere nemmeno un chicco, non si buttava via niente. Se mio nonno avesse assistito al diradamento dei grappoli si sarebbe preso un altro infarto.
Questo spiega la mia passione per la vigna, ma se mi domandate perché scelsi Agraria devo onestamente dire che lo feci scartando un po’ tutto il resto. Sicuramente avrei preso una Facoltà scientifica, ma scartai tutte le altre per varie ragioni e alla fine scelsi Agraria e mi iscrissi a Firenze.
Per la tesi non mai avuto dubbi e ho sempre desiderato farla in viticoltura, così la chiesi all’allora professore, oggi scomparso, Romano Magherini. Le cose andarono un po’ per le lunghe finché non arrivò il Prof. Pier Luigi Pisani Barbacciani con cui feci la tesi e che dopo la laurea mi chiese di rimanere in Dipartimento. Dopo un precariato tutto sommato breve, in soli sei anni dalla laurea sono diventato ricercatore di ruolo. Poi quando fu istituito il diploma universitario in Viticoltura ed Enologia la richiesta di ore di docenza in viticoltura aumentò molto e in quell’occasione accettai di affiancare in un corso l’altro docente di viticoltura di Firenze, il Prof. Di Collalto. E da allora non ho più smesso di insegnare questa materia.
Il tronco
AV: Quale è il modello formativo viticolo da lei proposto nel suo corso, ovvero quali dovrebbero essere secondo il Professore in vigna le caratteristiche di un vero Agronomo in vigna?
G.B. Mattii: L’Università è molto cambiata negli ultimi tempi; forma laureati specializzati sulla teoria ma incapaci di collegarsi agli aspetti pratici, un modello che personalmente la rendono più lontana da me, dallo spirito con cui ho iniziato. L’Università dimostra in generale di non sapere dove stia andando il lavoro dell’agronomo, pensando a torto che si stia evolvendo maggiormente verso la ricerca. Questo fenomeno è legato alla modalità di carriera dei professori, sempre di più legata alla quantità di pubblicazioni scientifiche nel settore teorico, che sono ben valutate. Professori che fanno ricerca su aspetti pratici e ancora capaci di forte impatto sono pochi: Poni, Palliotti e Silvestroni e pochi altri. A me piace ancora lavorare in vigna e anche per questo ho sempre tentato di lavorare coi ragazzi per formarli come agronomi di campo.
Un agronomo deve conoscere le problematiche della vigna, anzi più in generale le problematiche del settore. L’agronomo non può limitarsi a produrre le uve che servono quell’anno per la cantina, ma deve anche essere in grado di progettare il futuro, di capire in che direzione va. Ci sono anche gli enologi, gli esperti di marketing, però anche l’agronomo deve capire le nuove esigenze produttive e utilizzare tutte le conoscenze che ha acquisito per raggiungere questi obiettivi.
Il modello del mio corso è incentrato sulla formazione di agronomi che siano in grado di affrontare le sfide del mondo professionale. Agli studenti dico sempre: “Ragazzi a voi presenteranno dei problemi, non presenteranno delle soluzioni, quindi voi dovrete affrontare e risolvere i problemi”. In sostanza l’agronomo in vigna deve possedere una solida conoscenza e un’efficace competenza tecnica per la risoluzione dei problemi, primo fra tutti come produrre il vino del futuro. Quale dovrà essere il vino del futuro ce lo diranno gli esperti di marketing, ma quale vigna si debba realizzare per il vino del futuro lo deve sapere l’agronomo, che sia tecnico aziendale o libero professionista.
Le foglie
AV: Sia ancora più esplicito prof, metta pure alla luce del sole, come le foglie, che cosa secondo lei potrebbe portare l’attività didattica verso una maggiore aderenza alle esigenze reali del mondo operativo aziendale.
G.B. Mattii: Consentire ai docenti universitari di esercitare professionalmente potrebbe indirizzare in senso positivo l’attività didattica verso una maggiore aderenza alle esigenze reali del mondo operativo aziendale, ma in Italia ci sono fortissime resistenze ideologiche in tal senso. Ad esempio, nelle Facoltà di Agraria in generale è visto malissimo che un docente svolga libera professione, consulenze, ma secondo me sarebbe fondamentale aprire l’attività di un docente nel senso professionale. Penso ad esempio che se ad un medico gli togli l’ospedale e lo mandi solamente a studiare in laboratorio, che cosa sa fare quando mette le mani su un paziente? Che cosa insegna un professore universitario ai ragazzi se non si mette alla prova professionalmente sul campo? Negli USA è tutto diverso: puoi dichiarare da subito quanta della tua attività sarà dedicata all’Università e quanta alla libera professione senza alcun problema d’incompatibilità, anzi. In Italia invece questa incompatibilità purtroppo esiste ancora.
La linfa
AV: Come, nonostante tutto quello che abbiamo detto, lei immagina si possa mettere nuova linfa nei percorsi didattici relativi alla viticoltura?
G.B. Mattii: Come docenti dovremmo sapere rispondere tutti alla domanda: quali sono le problematiche principali da affrontare nel mondo produttivo? Occorre essere coscienti delle reali sfide odierne per aiutare i produttori a superare i problemi di oggi, non continuando a pensare che siano gli stessi di qualche decennio fa. Cosa vai ad insegnare ai giovani, ad esempio, che nel 2020 dobbiamo cercare di aumentare ancora il tenore zuccherino nel Merlot? Purtroppo sta aumentando sempre più lo scollamento tra il mondo accademico e la realtà produttiva. Io stesso anni fa ho messo per iscritto che, il giorno che non riusciremo più ad insegnare ai ragazzi una professione, tutte le nostre pubblicazioni saranno solo carta. Ricordiamoci che il 95% dei giovani che escono dall’Università non saranno ricercatori, ma dovranno essere in grado di esercitare una professione.
I nuovi laureati non dovranno semplicemente sapere cosa agisce su cosa, ma avere le competenze necessarie per risolvere globalmente un problema. Questo è il punto fondamentale, perché la maggioranza di loro farà il lavoro di consulente, mentre solo pochi affronteranno ricerca e carriera accademica.
Per queste ragioni il mio esame non è basato su una serie di domande che esigono una risposta prettamente nozionistica. Io sono solito porre quesiti legati al mondo del lavoro, proprio come se fosse un colloquio per un impiego. Ai ragazzi dico sempre che a lezione spiego da un punto di vista teorico, ma poi chiedo all’esame le stesse cose come ve le chiederebbe chi non sa la risposta e vuole da voi una risposta efficace per il suo problema. Perché altrimenti non vi pagherà. Ad esempio non chiederò mai: “Parlami della dominanza apicale”, ma formulerò una domanda che porterà alla risposta su come gestire tecnicamente la dominanza apicale.
I grappoli
AV: Quali sono stati i frutti principali della sua attività di ricerca?
G.B. Mattii: La mia specializzazione è legata all’efficienza della chioma e l’ho sviluppata fin dall’inizio (1992) attraverso una borsa di studio del CNR negli USA presso la Columbia University dove, con Alan Laxo, utilizzai dei palloni per valutare l’efficienza della chioma dei meli. Tornato in Italia, iniziai a lavorare con questi sistemi anche su vite, dove attraverso una collaborazione con dei colleghi di fisica di Sesto F.no mettemmo a punto il sistema chiamato PACO (Plant Analyzer for CO2). Questo sistema funzionava in qualsiasi situazione meteo e ci ha permesso di acquisire dati impensabili che ci hanno permesso di arrivare a delle conclusioni che prima non sarebbero state possibili.
Un altro aspetto che ho studiato è relativo alla sostanza secca, per il quale abbiamo realizzato un modello matematico di accumulo insieme con Palliotti, Poni e altri. Questo parametro è collegabile all’accumulo dello zucchero e ci ha permesso di ragionare su cosa succede in piante con un apparato fogliare diverso. Da questo abbiamo provato a correlare l’accumulo della sostanza secca con i polifenoli, cosa non ancora del tutto possibile attualmente. Questi studi ci hanno permesso di approfondire le conoscenze sulla concimazione della vite che fino a poco tempo fa in alcuni modelli produttivi era considerata una pratica trascurabile. Stiamo lavorando anche sui biostimolanti e anche questi nuovi aspetti mettono in evidenza la necessità di approfondire i temi legati alla nutrizione.
I viticci
AV: Quali sono i viticci ossia i vincoli che frenano lo sviluppo della ricerca?
G.B. Mattii: Il grande problema per noi dell’Università è la burocrazia che, rispetto ad un’impresa privata, rallenta qualsiasi operazione necessaria alla nostra attività, dall’acquisto di un lapis a investimenti molto più importanti ai fini dell’attività di ricerca. A proposito di lungaggini burocratiche, ho saputo di recente una buona notizia, cioè che è stata deliberata la costruzione della nuova sede di Agraria che sorgerà a Sesto Fiorentino, ma la cattiva notizia è che, ancora a causa degli iter burocratici, il tempo previsto per la consegna è il 2027. Purtroppo l’Università come Ente Pubblico soffre di questa mancanza di dinamismo che contrasta con le moderne esigenze di un mondo ormai caratterizzato da cambiamenti velocissimi.
Ma, ad onore del vero, gli effetti asfissianti di una burocrazia eccessiva non sono solo prerogativa dell’Università italiana. Anche i Progetti finanziati dalle strutture pubbliche o progetti europei soffrono di un eccesso di controllo burocratico, soprattutto in fase di rendicontazione. Tutt’altra cosa in USA, dove se i soldi che un ricercatore richiede per un finanziamento sono valutati congrui per l’attività, poi vogliono vedere i risultati.
Altra cosa è invece lavorare con aziende private che finanziano progetti per vedere risultati, non per controllare come sono stati spesi i loro soldi. La soddisfazione del lavoro di ricerca per noi sta ancora nell’esporre i risultati della sperimentazione e nel tentare di darne la migliore interpretazione possibile al committente.
La potatura
AV: Professore cosa poterebbe dalla sua vita accademica o cosa butterebbe giù dalla torre della sua carriera?
G.B. Mattii: Ho fatto delle scelte che sicuramente mi hanno penalizzato, però le mie scelte, pur facendomi rinunciare alla possibilità di veloci avanzamenti di carriera, le ho fatte a vantaggio della famiglia e di questo non mi pento assolutamente. Altri hanno fatto più carriera di me sacrificando la famiglia, però anche tornando indietro questa è una scelta che non farei nemmeno con il senno di poi.
Un’altra cosa di cui vado fiero è il fatto che non c’è mai stato nessuno che abbia telefonato per me a qualcuno. Quel poco che sono riuscito a raggiungere l’ho raggiunto da solo. Quindi nella mia carriera di cose da buttare via non saprei proprio trovarle e in fondo non ci sono cose che se tornassi indietro rifarei in maniera totalmente diversa.
Il vivaio
AV: Professore, ha un vivaio per la prosecuzione delle sue attività di ricerca e docenza?
G.B. Mattii: Ora ho un gruppo di ragazze che sono meravigliose, sono veramente brave. L’anno scorso per motivi vari tra i quali anche le gravidanze sono rimasto con sole due ragazze, ma il lavoro non ne ha sofferto più di un tanto, proprio per l’eccezionale dedizione che ciascuna di loro mette nel nostro lavoro.
AV: Questo è un gruppo di lavoro che ha speranza di essere il futuro nel suo Dipartimento?
G.B. Mattii: No, secondo me le possibilità sono molto scarse perché noi come sezione di Arboricoltura siamo abbastanza giovani e i prossimi posti arriveranno quando andrò in pensione io o qualcun altro mio coetaneo, vale a dire tra almeno dieci anni. Non posso quindi dire a queste ragazze di restare qui per vedere forse tra dieci anni cosa succede. Quando ero precario io si sapeva che il posto, se non oggi, magari domani sarebbe arrivato. Il Prof. Pisani ci diceva sempre: “Voi ragazzi fate conto di essere alla stazione e di non sapere quando passerà il treno, ma dovete avere già il biglietto in tasca. Poi quando passerà il treno potrete salire a patto di avere il vostro biglietto in tasca.” Qui invece non si sa se il treno passa.
A queste ragazze che lavorano con me ho sempre detto sin dal primo giorno che questo deve essere un modo tranquillo per guardarsi intorno, lavorando senza l’impellenza di dovere sostenere subito le spese della professione e portando a casa qualche soldo in modo dignitoso. Sono già in un buon numero quelle che passate di qua hanno trovato lavoro altrove, sia nell’ambito della libera professione, sia nell’ambito del lavoro dipendente in azienda. In ogni caso tutte hanno fatto un’esperienza che è spendibile nel mondo del lavoro, anche se non andranno mai più a misurare la fotosintesi una volta entrate in azienda. Sarebbe bello però che tutte potessero trovare lavoro nell’ambito dell’Università, perché in generale tutte sarebbero in grado di sostenere l’onere di una cattedra.
Le connessioni della rizosfera
AV: Ora professore si prepari degnamente alla confessione finale su quanto sia veramente connesso con il vigneto. Quante volte va in vigna il Professor Mattii durante l’anno?
G.B. Mattii: Parecchie. Sì, ci vado parecchie volte (sorride). Anche perché i lavori che facciamo sono tutti in vigna.
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