Viticoltura Numero: 02 / 2018

Rame o non rame

Il principale punto debole del biologico in viticoltura è superabile?

Maurizio Gily
Rame o non rame

Con questo articolo apro un capitolo molto ampio e ancora ricco di incertezze, in particolare per quanto riguarda i prodotti “alternativi”, argomento che ho soltanto sfiorato. Intendo così stimolare una discussione e invitare tecnici, agricoltori, e anche fornitori della filiera a portare loro contributi.

Per questo motivo questo articolo, da Millevigne 2/2018, è pubblicato qui, in chiaro e commentabile.

“Candidato alla sostituzione”

Il rame resta ad oggi una sostanza difficilmente sostituibile per la lotta alla peronospora per le aziende in biologico, e trova tuttora largo impiego anche nella difesa cosiddetta convenzionale, soprattutto per i trattamenti di post-fioritura. I critici del metodo biologico usano spesso l’argomento del rame, metallo pesante che permane inalterato nell’ambiente ed è tossico per diversi microrganismi del suolo e per i lombrichi, per sostenere che la semplificazione agricoltura biologica=agricoltura pulita è falsa. In verità tutte le semplificazioni si prestano a critiche, ma per contro gli sforzi che il mondo del biologico sta facendo per ridurre o addirittura abolire il rame vanno riconosciuti. Oggi la legge fissa il limite di 6 Kg per ettaro e per anno di rame metallo, non solo per il biologico ma anche per la difesa integrata volontaria, mentre il protocollo Demeter (principale sigla della biodinamica) fissa un limite di 3 Kg. L’Unione Europea ha inserito il rame nella lista nera dei prodotti “candidati alla sostituzione” e la sua autorizzazione scade nel 2019. E’ data per certa una proroga, probabilmente di 5 anni, ma la proposta che circola è quella di una riduzione a 4 Kg/ha e per anno, il che ha messo in grave allarme i produttori europei e in particolare chi opera in regime biologico. Dall’Italia la FIVI ha preso per prima una posizione contraria.
Il rame non presenta rischi sanitari per il consumo umano ai livelli in cui si può di norma ritrovare nel vino o in altri alimenti, è anzi un elemento che in minime dosi è indispensabile all’organismo. Neanche per l’operatore è un prodotto particolarmente a rischio per contatto (ma più “cattivo” se inalato, per cui la distribuzione polverulenta che se ne fa a volte in miscela con lo zolfo non è in realtà consigliabile). Elemento indispensabile per l’uomo ma anche per le piante, come classico “microelemento”, catalizzatore di reazioni di ossidoriduzione e componente di enzimi, e che svolge un’azione sinergica nell’assorbimento del ferro. Il punto è quindi la sua dispersione in eccesso nel suolo e nelle acque.

Il paradosso di una legge che impone un massimo, ma anche un minimo…

Torno su un argomento scivoloso, di cui ho scritto due anni fa su Slowine: ma se vogliamo davvero abbassare l’impatto del rame (e non solo del rame ma di tutti i prodotti) non possiamo farne a meno. L’etichetta ufficiale dei presidi fitosanitari fissa una dose minima e una massima, per ettolitro e per ettaro, per coltura e per avversità, di qualunque “pesticida”: è pessimo italiano, ma è un termine ufficiale, e vale anche per il rame, per cui chi dice o scrive che “fa biologico e non usa pesticidi” dice una cosa inesatta e fuorviante. Sotto la dose minima non si deve scendere perché non sarebbe garantita l’efficacia del prodotto. Sembra logico, no? Invece no, non lo è per nulla. Perché l’efficacia della protezione non è data da una dose per ettaro, come se distribuissimo un diserbante in pre-emergenza sul terreno, ma dal deposito per metro quadro di foglie. E allora:
1. Non tutti i vigneti hanno lo stesso sviluppo di chioma per unità di superficie. Dipende dalla forma di allevamento, dalla densità di impianto e dal vigore delle piante, quindi dal numero di strati fogliari.
2. Diversi studi attestano che in presenza di una pressione non eccessiva della malattia i dosaggi di rame possono essere ridotti senza perdita di efficacia. Di tutti questi studi vogliamo fare un falò?
3. Se faccio il primo trattamento quando ogni germoglio ha mediamente quattro foglie distese, dovrei usare la stessa dose in piena vegetazione? E’ vero che esiste un massimo e un minimo, ma la differenza è di solito di un 30%, mentre la differenza tra i due casi che ho citato a livello di superficie fogliare è di 10 volte o più.
3. Non tutti mezzi di distribuzione hanno lo stesso grado di efficienza in relazione al tipo di impianto. In particolare gli atomizzatori a tunnel che recuperano la miscela consentono di risparmiare, nei primi trattamenti (tornando all’esempio di prima, 4 foglie distese), il 70% del prodotto, cioè solo il 30% di miscela va sulle foglie. Se divido 10 (multiplo ipotetico della superficie fogliare tra quattro foglie e piena vegetazione) per 0,3 ottengo un numero che fa paura: 30. Cioè: se applico una dose per ettaro 30 volte inferiore a quella indicata in etichetta per un trattamento a tutta chioma ottengo lo stesso deposito di prodotto per centimetro quadro di foglie di un trattamento a tutta chioma, mentre con un atomizzatore normale sarei comunque a un decimo.
Però se scrivo sul quaderno di campagna una dose inferiore a quella in etichetta posso passare dei guai. Questo non ha alcun senso, e va contro ogni logica di sostenibilità. Per risolvere il problema molte aziende registrano il trattamento solo su una parte della superficie. Così “le carte appattano”, come dicono i miei amici siciliani…

E’ vero che per alcuni prodotti sito-specifici (sistemici o meno) il sottodosaggio aumenta il rischio di creare ceppi resistenti. Ma a parte il fatto che anche il concetto di sottodosaggio va sempre rapportato a una superficie bersaglio, questo concetto non può comunque valere per prodotti di contatto multisito come il rame, che non protegge le vegetazione che si sviluppa in seguito al trattamento. La regola è quindi: tanti centimetri quadrati, tanti ml di principio attivo. E’ geometria elementare, ma pare che il concetto non faccia breccia a livello ministeriale, dove la materia è di competenza di ben tre ministeri, politiche agricole, salute e ambiente. Toc toc: c’è nessuno in quelle stanze?

Diverse testimonianze di aziende che operano in biologico, e lavori sperimentali, suggeriscono dosaggi di rame efficaci (purché ben distribuiti, nel momento giusto, con una pressione “normale” della malattia) dai 200 ai 500 grammi per ettaro di rame metallo per trattamento. Ma, stando alle etichette, almeno quelli minimi, e non solo, sono sottodosaggi. D’altra parte in molte annate nel Nord Italia sarebbe difficile rispettare il limite di 3kg/ha anno, quello delle aziende biodinamiche, con dosaggi superiori.

I “concimi” con il rame dentro

Oltre alle tradizionali sali di rame cioè da solfato, da ossicloruro, da idrossido, da ossido rameoso (che si avvantaggiano di formulazioni sempre più avanzate, che giocano sulla dimensione delle particelle e sul concorso di adesivanti per aumentarne l’efficacia e la resistenza al dilavamento), sono oggi sul mercato formulazioni come peptidato di rame e gluconato di rame, che promettono pari efficacia con dosaggi più bassi di rame metallo. Il concetto è che i coformulanti, proteici nel primo caso, polisaccaridi nel secondo, dovrebbero consentire al rame di essere più attivo attraverso una parziale traslocazione all’interno dei tessuti, svolgendo quindi una parziale funzione di “rame metabolico”. Un’obiezione è che, se il rame superasse davvero la barriera della parete cellulare, risulterebbe tossico per le cellule… in effetti qualche limitato problema di fitotossicità con il peptidato di rame è stato verificato, ma con questo l’argomento non è certo esaurito e se ne continua a discutere. E’ però provata, secondo molti utilizzatori, una concreta attività di protezione a dosaggi ridotti di metallo. Oltre ai due casi citati ci sono molti prodotti in cui il rame è associato, in piccole dosi, a molecole organiche di vario genere con funzione di fortificanti o stimolatori di difese naturali o di esaltatori di efficacia del rame.

Il problema principale sull’utilizzo di questi formulati è che sono per lo più registrati come fortificanti, quindi nella categoria fertilizzanti e non come agrofarmaci, quindi non sono soggetti ai relativi, corposi dossier di autorizzazione. Per questo, secondo una recente circolare ministeriale, il loro impiego dovrebbe essere giustificato solo in caso di accertata e certificata carenza dell’elemento rame. I presupposti teorici di questa circolare di fatto si scontrano con i suoi effetti pratici: invece di razionalizzare l’uso del rame, riducendone l’accumulo nell’ambiente, si rischia di produrre l’effetto esattamente opposto. Se da un lato è corretto conteggiare questo rame nel computo totale per ettaro e per anno, dall’altro il fatto che svolga una funzione di difesa non esplicitamente dichiarata è un’ovvietà sulla quale era forse meglio continuare a chiudere un occhio, proprio in funzione dell’obiettivo della riduzione del rame che questi prodotti consentono. Opinione personale.

Alternative “bio” al rame

Diversi preparati, di origine minerale (zeoliti, bentonite) vegetale (estratti di alghe brune, propoli, aloe, oli terpenici e altro), animale (chitosani) e microbiologica (consorzi microbiologici) o loro miscele vengono proposti come prodotti biostimolanti efficaci nello stimolare le difese naturali della pianta, spesso abbinate a bassi dosaggi di rame (nel caso di co-formulazioni, attenzione alla famosa circolare…). Non solo le aziende produttrici ma anche centri di saggio e istituti di ricerca comunicano risultati interessanti, anche se a volte contraddittori e con differenze tra i vari prodotti. Al momento credo di poter dire che non siamo ancora alla sostituzione, ma all’integrazione, con riduzione, anche notevole, dei dosaggi di rame.

In conclusione penso che il punto per chi sceglie la via del biologico non sia semplicemente quello di usare un prodotto o un altro: si tratta di fare un salto qualitativo ed entrare in una visione “olistica” che va oltre il concetto di difesa propriamente intesa per mettere la pianta nelle condizioni di reagire meglio agli attacchi esterni, migliorandone l’equilibrio interno, e vedendo quindi la pianta anche dalla parte della radice. Migliorare il ciclo della sostanza organica e la vitalità dei suoli, evitare gli eccessi di vigore, favorire l’arieggiamento della chioma. Condizioni utili per favorire, insieme all’eventuale azione dei biostimolanti, l’espressione dei geni di resistenza, che in realtà esistono anche nella vite europea, ma non sono abbastanza potenti e rapidi nella loro azione rispetto al parassita.
Nel frattempo la ricerca sulle alternative al rame continua.


BIBLIOGRAFIA

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