L’Italia del vino non conosce barriere, soprattutto se il vino è autoctono ed è rosé.
Lo dimostra quella che nella zona di Bardolino hanno chiamato dal 2014 “Rosé revolution”, nome che, quattro anni dopo e fatte le debite distinzioni di contenuto, potrebbe calzare al Patto sottoscritto da cinque Consorzi italiani sotto il segno del Rosato.
Se non una vera e propria “rivoluzione”, sicuramente l’accordo siglato ha provocato una scossa, di segno positivo, verso un percorso possibile, innovativo e trasversale alle geografie, alla storia o, meglio, alle storie diverse di territori, vitigni, vini diversi accomunati dal fattore “pink”. L’accordo, siglato il 14 aprile scorso, vigilia di Vinitaly, si chiama per esteso “Patto d’intenti per la valorizzazione del vino rosato autoctono italiano”, è stato firmato a Bardolino nella Villa Carrara Bottagisio e riunisce Consorzio Tutela Vini Bardolino, Consorzio Valtènesi, Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Consorzio Tutela Vini Salice Salentino e Consorzio Tutela Vini Castel del Monte. Geograficamente si va dal Garda lombardo e veneto, nel quale si trovano Valtènesi e Bardolino, alla Puglia, passando per l’Abruzzo.
Una strada originale grazie ai vitigni autoctoni
A livello di uve, la panoramica si fa variegata, trattandosi appunto di un discorso d’autoctoni: prevalenza di Corvina Veronese (80%) con aggiunta di Rondinella per il Chiaretto di Bardolino; Groppello (50%), Marzemino, Barbera, Sangiovese e Rebo, altra uva autoctona, per il Valtènesi Chiaretto; uve da vitigno Montepulciano d’Abruzzo (almeno 85%) più “uve di altri vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella regione Abruzzo”, come da Disciplinare, per il Cerasuolo d’Abruzzo Doc; Negroamaro (almeno al 75%) più uve a bacca nera idonee alla zona, fra cui Malvasia nera di Lecce e o di Brindisi per il Salice Salentino Rosato Doc; uve di Bombino Nero (minimo 90%) con possibilità di aggiunta di un 10%, di “uve di altri vitigni a bacca nera non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Puglia per la zona di produzione omogenea Murgia Centrale” per il Castel del Monte Bombino Nero, unico rosato autoctono al quale è stata sinora riconosciuta la Docg.
Obiettivi: il mercato e la ricerca
L’unione fa la forza, come in ogni Patto, e l’unione in questo caso si pone due obiettivi: uno è quello di promuovere e comunicare in Italia e all’estero i Rosati da autoctoni italiani, l’altro quello di creare un Centro del Rosato Autoctono Italiano che diventi sede di incontro, ma anche di studio e ricerca.
Lo strumento base è la comunicazione, fatta di azioni congiunte e condivise. Come è accaduto, ad esempio, lo scorso 22 giugno, con #oggirosé, hashtag e iniziativa che ha coinvolto tutti i Consorzi firmatari del Patto e che si è articolata in appuntamenti vari, degustazioni, aperitivi, cene, manifestazioni
ed esposizioni in cantine, ristoranti, enoteche e winebar. Un appuntamento destinato a diventare una data fissa corrispondente a ogni primo venerdì d’estate, tanto che il sito appositamente dedicato www. oggirose.it già invita al 2019, venerdì 21 giugno. Novità relativa, se si considera che la giornata dedicata al rosé, anche su scala internazionale, è un’idea anche di Francia e di altre aree produttive del mondo, ma assoluta per quanto riguarda il nostro paese, protagonista con i suoi rosati autoctoni in più di trecento eventi disseminati su tutta la penisola. Né è stata casuale la presentazione del Patto alla vigilia di Vinitaly 2018, presentazione seguita da una serie di eventi degustativi organizzati durante il salone veronese. Nel mezzo, anche le degustazioni tenute in occasione di “Italia in Rosa”, la cui undicesima edizione si è svolta al castello di Moniga del Garda dal 1° al 3 giugno e che ha avuto fra i suoi ospiti Elizabeth Gabay, conduttrice nell’occasione di una masterclass sui rosati. Nome prestigioso, quello della Gabay, non soltanto scrittrice (“Rosé: Understanding the pink wine devolution”, ed. Classic Wine Library, 2018), ma anche Presidente di giuria dell’International Rosé Championship.
L’attività di promozione si basa sui numeri di produzione presenti, ma guarda soprattutto alle tendenze di mercato secondo le quali il rosato/ rosé (la tendenza attuale è usare il termine francese per i vini di colore più tenue, ma non è una regola) non soltanto piace, ma piace sempre di più. Partendo dai numeri, i primi sono quelli del Chiaretto di Bardolino, che proprio in questi mesi sta attendendo il riconoscimento di una propria Doc autonoma, per la quale fra le varie modifiche è prevista una resa massima di 120 quintali di uva per ettaro (130 gi attuali), l’utilizzo solo di uve “fresche” e con un aumento della quantità ammessa di uva corvina veronese al 95% rispetto all’attuale 80%. In occasione dell’” Anteprima Chiaretto” di Lazise dello scorso 11 e 12 marzo, il Presidente del Consorzio,Franco Cristoforetti, rese noti i dati di commercializzazione del Bardolino Chiaretto: “I dati del 2017 ci mostrano che il nostro lavoro sulla DOC sta dando i suoi frutti: lo scorso anno abbiamo venduto 9 milioni e mezzo di bottiglie, il 12% in più rispetto all’anno prima”. Sulla produzione annua di circa 20 milioni di bottiglie totali di Bardolino, la quota relativa al Chiaretto è elevata e il trend in crescita, come indica Angelo Peretti, giornalista che dal 2008 si occupa della pianificazione strategica del Consorzio, compresa la “Rivoluzione Rosé” avviata dal 2014: dai 4 milioni di bottiglie di 8 anni fa, la voce Chiaretto di Bardolino oggi è più che raddoppiata. Le richieste arrivano soprattutto dai mercati esteri: Germania, Scandinavia, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito. Prospettive di mercato: Stati Uniti, Canada e Giappone e un potenziale produttivo che potrebbe moltiplicarsi. Il nuovo stile del Chiaretto di Bardolino è uno stil nuovo per suadenza di colore – più chiaro – e profumi, fra i quali spiccano le note agrumate, formula giusta visti i risultati che la “rivoluzione” ha portato. Nel contesto del Patto per il Rosé è proprio il Bardolino a far da capofila. Crescita costante, ma numeri diversi per Valtènesi, dove sono Presidente del Consorzio Alessandro Luzzago e Direttore Carlo Alberto Panont: la capacità produttiva totale Valtènesi è di 4,6 milioni di bottiglie, di cui sul mercato attualmente a Doc 3,3 milioni, con preminenza di Valtènesi Chiaretto (2 milioni e 300mila bottiglie). La storia del Chiaretto in Valtènesi ha radici nel ‘500 e trova conferma con la citazione di “claretto” contenuta nelle indicazioni che ne dà l’agronomo Agostino Gallo (1499 – 1570). Ma è una vicenda d’amore che, a partire dall’Ottocento, ha conferito apprezzamento e notorietà al rosa gardesano. Fu il matrimonio con la nobildonna Amalia Brunati di Moniga a condurre sulle sponde del Garda Pompeo Molmenti, senatore veneziano con la passione per l’enologia. Nel 1896, Molmenti codificò il procedimento di produzione del Chiaretto, partendo dai vigneti posseduti dai Brunati, e il Chiaretto divenne di moda ben oltre i confini gardesani, giungendo a essere l’aperitivo di tendenza nei salotti milanesi della Bella Epoque. Piena condivisione del Patto da parte di Valentino Di Campli, Presidente del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo. “Oggi il Cerasuolo d’Abruzzo è per lo più consumato dal mercato locale, ma l’obiettivo di questo percorso, recentemente avviato, è di farlo conoscere non solo al di fuori dei confini regionali, ma anche all’estero”, commenta Di Campli. Il trend dell’imbottigliato negli ultimi tre anni va dai 39mila ettolitri della vendemmia 2014-2015 ai 48mila della vendemmia 2016-2017 (all’incirca 6 milioni di bottiglie) per un totale produttivo di 59.238 ettolitri nel 2014 – 2015 e 78.390 ettolitri nella vendemmia scorsa. Per il Salice Salentino Rosato Doc (1000 hl annuali, corrispondenti a circa 133mila bottiglie) il richiamo storico è al 1943, quando venne imbottigliato per la prima volta nell’Azienda Leone De Castris il “Five Roses”, primo rosato esportato con grande successo negli Stati Uniti. Ma Eugenio Manieri, direttore del Consorzio presieduto da Damiano Reale, ricorda come il consumo di rosato fosse abitudine anche nelle famiglie della zona sino a non molti decenni fa e sottolinea come negli ultimi anni sia aumentata la richiesta di terreni, con conseguente crescita anche del loro valore. In verità però i grandi numeri in Salento si fanno con la IGP Salento rosato, che ha una produzione di circa 50.000 ettolitri, corrispondenti a circa 7 milioni di bottiglie.
Indica una produzione potenziale di circa 2 milioni e mezzo di bottiglie per il Rosato di Castel del Monte il presidente del Consorzio, Francesco Liantonio, anche se attualmente la produzione è molto inferiore al potenziale. I plus del Rosato Castel De Monte: il riconoscimento Docg e le caratteristiche dell’uva dalla quale si ottiene, il Bombino Nero, il cui nome pare derivare dall’appellativo “buonvino”. Il futuro, dunque, si tinge di rosa per gli autoctoni, espressione sicuramente scontata, ma non altrettanto banale è il senso di un Patto che punta non sull’omologazione, ma, al contrario, su identità specifiche, forti, storicamente strutturate. Insieme, ma diversi, si può.