L'Editoriale Numero: 02 / 2012

Succhiaruote, maldicenti e troll

Rassegna non esaustiva di comportamenti eticamente scorretti.

Maurizio Gily
Succhiaruote, maldicenti e troll

Quando si parla di etica di impresa è utile prendere ad esempio alcuni casi concreti. La prima scorrettezza la commetterei io stesso se non citassi il fantasioso estensore di una metafora ciclistica, quella del “succhiaruote”, al settore del vino: si tratta dell’amico Carlo Macchi. In riferimento alla manifestazione “Nebbiolo Prima”, degustazione cieca dei grandi vini di Langa a cui partecipano giornalisti e buyer da tutto il mondo, scrisse Carlo sul suo sito Winesurf.it: “ negli anni diversi produttori divenuti famosi nel frattempo, che da un giudizio negativo hanno solo da perderci, hanno abbandonato l’evento. Così facendo evitano la valutazione bendata e comparata dei propri vini in un momento in cui sono magari chiusi o non pronti. Questo è lecito, anche se il rischio di svuotare di peso la manifestazione era ed è fin troppo reale. Meno lecito (e meno etico) è purtroppo lo sport del “succhiaruote” cioè il non partecipare a Nebbiolo Prima ma sfruttare la venuta in zona di molti giornalisti (a spese d’altri…) per invitarli nella propria cantina dove, in tutta calma e tranquillità, fargli assaggiare i vini. Questo è sbagliato, come è sbagliato da parte di noi giornalisti accettare inviti o addirittura telefonare per fare una visita in cantine non partecipanti”. Di episodi simili se ne contano molti in giro per l’Italia: per fortuna i giornalisti più seri si ribellano e allora il succhiaruote rischia un effetto boomerang. A volte non è soltanto il timore del confronto o il desiderio di risparmiare a spingere a questi comportamenti, ma anche la rivalità, per non dire l’odio, tra produttori e gruppi di essi. So di redattori di guide che devono frazionare le degustazioni di una stessa denominazione in tempi e luoghi diversi perché i gruppi “non si parlano”. E c’è di peggio. Scrive Giancarlo Gariglio, uno dei curatori della guida Slowine, sul sito omonimo: “Durante le nostre visite in cantina, sapete qual è la cosa più sgradevole che ci è capitata? Sentir parlare male del proprio vicino. Alcuni lo fanno utilizzando dei sottointesi, (…) altri addirittura ci hanno portato in campo facendoci ve
di MAURIZIO GILY
dere il proprio filare e confrontandolo con quello dell’altro produttore (e magari non era neanche il suo, NdR) . Un sistema produttivo che si comporta così con la stampa e i possibili clienti è destinato al fallimento”. Io pensavo che questa cattiva abitudine fosse tramontata, almeno tra i produttori di qualità: in genere chi parla male degli altri è quello che fa il vino più cattivo. Ma se questo malcostume è ancora diffuso come scrive Gariglio vuol dire che siamo davvero indietro. Purtroppo il tempo è scaduto. È inutile parlare di terroir se chi è deputato a valorizzarlo ci sputa sopra. La rivalità e la concorrenza sono una cosa, la maldicenza un’altra. La solidarietà tra i produttori nei confronti dell’esterno è uno dei più forti elementi di qualunque marketing territoriale. Se il vicino compie azioni illegali lo si segnala ai carabinieri, se sono solo immorali lo giudicherà l’Eterno. Ma in ogni caso non è opportuno confidarlo a clienti e turisti. Siamo davvero stanchi di citare impietosi paragoni con la Francia, dalla quale, sotto questo aspetto, ci separa ancora un abisso. Chi non capisce queste regole elementari è destinato al declino, ma purtroppo rischia di trascinare con sé anche il prodotto e la denominazione. L’ultima frontiera della maldicenza è, infine, offerta da internet: i commenti sui blog e sui social network. Personalmente penso che usare il web per sparare giudizi negativi su un vino o addirittura su una cantina sia lecito, anche se non di buon gusto. Ma chi lo fa deve avere il coraggio di metterci il nome e la faccia e, ovviamente, deve essere un consumatore, o comunque non può essere un produttore concorrente sotto false spoglie, perché in quel caso non è solo un maldicente, ma una carogna. A volte la carogna usa il falso nome, per lo più storpiato, di una persona vera: la fantasia del popolo della rete in questo caso lo chiama troll, come lo spirito maligno della mitologia nordica capace di assumere sembianze altrui per attuare un disegno malvagio. Una fantasia poetica, che a dire il vero mal si attaglia alla prosa scialba di certe persone, dalla mente piccola come le loro azioni.