Cultura & Società Numero: 01 / 2019

Sviluppo slow ed autenticità per l’enoturismo

Confronto fra turismo del vino in Chianti e Langa. I fenomeni di inquinamento turistico e culturale e le possibili strategie di successo indagati in una tesi del Master in Wine Colture, Communication and Management dell’Università di Pollenzo.

Alice Mortarotti
Sviluppo slow ed autenticità per l’enoturismo

Italia-turismo è un binomio fondamentale per il nostro futuro, il patrimonio artistico e culturale del Bel Paese vanta il maggior numero di siti Unesco al mondo.

Il cibo e il vino richiamano al legame con il luogo, e le esperienze eno-gastronomiche hanno la capacità di coinvolgere il turista in prima persona, fornendogli le chiavi di accesso alla cultura di un territorio e rendendolo partecipe della vita locale. Lo sviluppo turistico oggi è però spesso contraddittorio, poiché genera processi di valorizzazione e, al contempo, di globalizzazione delle risorse locali. Le dinamiche di globalizzazione si possono però controllare, dato che il turismo non è un fenomeno che avviene indipendentemente dalla nostra volontà, ma è invece gestibile. In un mondo sempre più aperto e globalizzato, il turista ricerca quindi esperienze autentiche e locali, e per dare ai territori del vino e alle cantine maggiori prospettive economiche e d’immagine c’è ancora molto da fare, anche in zone già rodate come il Chianti Classico (che riceve oltre un milione di visitatori ogni anno), e a maggior ragione per la Langa, che invece sta ingranando la marcia in questi anni. Il turismo ha contribuito in entrambe le aree a salvare centri abitati e case di campagna dall’abbandono, ma esiste un rovescio della medaglia: il rischio di degrado turistico con processi di omologazione e falsificazione di costumi, abitudini ed ambiente insieme con l’affacciarsi del turismo di massa e la progressiva contrazione di quello qualificato. I PRIMI DELLA CLASSE, … E I LORO PROBLEMI Il successo del Chianti è sicuramente una lama a doppio taglio, e molti studi citano il bellissimo comune di Radda in Chianti come esempio da manuale di sovraffollamento turistico: 1300 abitanti, 29 ristoranti, 1254 posti letto per turisti. Nel 2017 gli arrivi sono stati 35.000 e le presenze 105.000, tradotto vuol dire che durante l’alta stagione, solo una persona su ventisei incontrata camminando per le vie di Radda, è un residente. La popolazione locale sta diminuendo, le attività commerciali sono tutte volte al turismo, i ristoranti stanno sostituendo i veri piatti della tradizione con proposte più internazionali ed i souvenir “di artigianato locale” nei negozi rischiano di essere stati fabbricati in Cina: tutto ciò è triste, perché non si può sacrificare una tale ricchezza culturale per assecondare la domanda turistica di massa. Dando uno sguardo alla situazione in Langa, prendiamo invece come caso studio La Morra, splendido punto panoramico su tutta l’area del Barolo: 2760 abitanti e -nel 2016- 18.000 arrivi, 42.000 presenze, delle quali 31.000 stranieri. La percentuale di arrivi dall’estero sul totale è del 64%, quindi non raggiunge quella di Radda di ben 79%. La crescita di posti letto in Langhe e Roero negli ultimi dieci anni è comunque consistente: da 9.400 nel 2008 a 12.500 nel 2017. Possiamo considerare questa crescita dannosa o troppo veloce? Fortunatamente ancora non si osservano fenomeni di colonizzazione turistica o di inquinamento culturale così evidenti, che purtroppo cominciano a notarsi in alcune zone del Chianti. Questa ricerca tenta di fare luce sulla reale situazione delle due aree vinicole, di individuare l’eventuale rischio di degrado turistico con lo scopo di prevenirlo, e di sondare le impressioni degli operatori del settore, per verificare il grado di consapevolezza degli stessi nei confronti dei pericoli a cui andrebbero incontro, in caso di comportamenti e strategie errate.

Analizzare, per capire

Un breve questionario di undici domande è stato somministrato via e-mail a 315 aziende produttrici viti-vinicole del Chianti Classico in Toscana e a 194 nella zona delle Langhe in Piemonte. Le domande del questionario vertevano sia su aspetti meramente tecnici dell’organizzazione delle cantine, sia su impressioni generali da parte dei titolari delle aziende sull’andamento e gli eventuali effetti collaterali del turismo nel loro territorio. Durante la ricerca sono state condotte interviste telefoniche a due personaggi di rilievo nell’ambito delle due Regioni oggetto dello studio. Gli intervistati sono Dario Castagno, storica guida turistica del Chianti e Massimo Martinelli, enologo e figura di riferimento per le Langhe. Le loro testimonianze sono state preziose al fine di integrare le risposte delle aziende che hanno avuto la cortesia di partecipare al questionario. Introduco i risultati della ricerca con una nota dolente: solo il 10% circa delle aziende chiantigiane interpellate ha risposto alle domande, 35 cantine su 315. Purtroppo questo fattore rende meno rappresentativo il campione, ma comunque in grado di evidenziare la situazione effettiva. In Langa la percentuale di risposte sale: 54 aziende su 194, ossia il 28% circa delle aziende. GLI ANDAMENTI STAGIONALI I due grafici illustrano i risultati ottenuti in risposta alla domanda volta ad identificare il livello di “stagionalizzazione” del turismo: il 66% delle cantine chiantigiane dichiara di ricevere la maggior parte dei turisti durante il periodo estivo, mentre ben l’89% delle cantine di Langa sostiene che il periodo più affollato sia l’autunno, complici la vendemmia e la fiera del tartufo di Alba. È evidente che la Langa abbia il problema maggiore in questo senso, ed è importante ricordare che un turismo meglio distribuito durante l’anno è molto più sostenibile rispetto all’affollamento in un periodo breve. Sarebbe necessario intervenire con azioni di de-stagionalizzazione, di modo da garantire una occupazione stabile per gli addetti al turismo, maggiori possibilità di qualificazione dell’offerta e di riduzione dell’impatto sociale. Questo si realizza con l’organizzazione di eventi “fuori stagione” ed il potenziamento di tipologie turistiche diverse dal vino, a supporto ed integrazione di quella vinicola. IL PREZZO La domanda che indaga il prezzo di una visita e degustazione in cantina evidenzia una maggior percentuale di cantine Chiantigiane che applicano un prezzo superiore ai 20€, ciò potrebbe essere legato alla maggiore domanda da parte dei turisti. La strategia non è sbagliata, poiché se il prezzo è giustificato da un’offerta di qualità, questa risulta vincente sia per quanto riguarda il fatturato dell’azienda, sia in termini di “selezione” della clientela. È giusto aprire le porte della propria cantina e far conoscere i propri vini, ma allo stesso tempo è importante passare il messaggio che dietro alla qualità dei prodotti in degustazione e alla competenza della guida ci sia un costo.

i servizi offerti

Questa domanda mira invece a determinare il grado di organizzazione delle aziende rispetto alle visite: da quanto emerge dai grafici, il 73% delle cantine chiantigiane e ben il 90% delle cantine di Langa effettuano tour solo su prenotazione. Questo è un indicatore positivo, poiché organizzando il servizio, si riesce a garantirne una migliore qualità, e – non meno importante – si riduce lo stress degli addetti all’ospitalità, che si traduce nella loro maggiore efficienza, concentrazione e dedizione.

Apertura al pubblico

Per quanto riguarda i giorni di apertura delle cantine al pubblico, si nota una certa organizzazione anche in questo senso: il 53% delle aziende del Chianti Classico e il 62% di quelle di Langa ha compreso l’importanza di rimanere aperti sette giorni su sette, anche se ben il 22% delle cantine langarole non riesce ancora a rinunciare alla domenica di riposo e l’8% chiude per l’intero weekend. Chiudere un esercizio turistico e commerciale la domenica o il sabato non vuol dire solo rinunciare ad una discreta fetta di fatturato, ma anche ad un certo grado di visibilità nei confronti dei turisti, specialmente quelli italiani, la cui presenza maggiore si rileva proprio nei giorni festivi. I turisti domestici potrebbero essere “fidelizzati” più facilmente – data la distanza minore dai loro luoghi di origine – e una volta tornati a casa, potrebbero trasformarsi inconsciamente negli ambasciatori della nostra cantina. Il ché ci porta alla domanda successiva, ossia la percentuale di visitatori italiani sul totale.

Rapporto fra arrivi nazionali e esteri

In questo caso la differenza è abissale, la situazione Chiantigiana è molto sbilanciata, e ciò potrebbe essere sintomo di uno stadio del turismo che vira verso la perdita di identità: nessuno meglio dei connazionali può riconoscere il grado di autenticità e di preservazione di un luogo italiano. Un’altra ragione per questa scarsa presenza di turisti domestici potrebbe risiedere nell’ormai eccessivo affollamento di queste zone, che potrebbe scoraggiare il viaggiatore in cerca di pace e tranquillità, oltre che di buon vino.

Disponibilità di camere

Per continuare a testare il livello di coinvolgimento delle attività viti-vinicole delle due aree nel settore turistico, si è ho voluta individuare la percentuale di aziende produttrici di vino attrezzate con camere per l’ospitalità e il prezzo delle stesse. Anche in questo caso, la situazione nelle due aree è differente: il 33% delle aziende del Chianti Classico che hanno partecipato al questionario non dispone di camere, mentre in Langa la percentuale sale al 67%, e quella minoranza di aziende che ne dispone, applica in generale prezzi più bassi rispetto al Chianti, che nel 37% dei casi vende una stanza ad un prezzo che varia dai 50 ai 100€, e nel 10% ad un prezzo superiore ai 200€.

La ristorazione

Per quanto riguarda la presenza di un’attività ristorativa in azienda, in Chianti il campione si divide a metà tra coloro che non la possiedono e coloro che stanno progettando di aprirne una o già la possiedono (un terzo delle cantine). Anche in questo caso, la situazione in Langa è ben diversa: solo il 13% dispone di un ristorante e il 2% sta programmando di aprirne uno. Questi dati dimostrano che il Chianti si trova ad uno stadio molto più evoluto per quanto riguarda l’integrazione del fatturato da vendita vino con quello proveniente da mere attività turistiche. Da una parte, attrarre visitatori con l’offerta dell’ospitalità incrementa anche i volumi di vino venduto, ma dall’altra vige sempre la regola che per un turismo sostenibile, il fatturato da attività turistiche debba supportare quello delle originali attività della zona, e non prevaricarlo o sostituirlo.

Il “sentimento” degli operatori verso le criticità…

Passando invece alle ultime due domande aperte riguardanti la percezione di aspetti positivi e negativi del turismo in zona, le risposte sono parecchio disomogenee e diverse da cantina a cantina. In Chianti dichiarano di essere contrari ad una chiusura invernale degli esercizi così prolungata, di non poter assumere personale fisso a causa della eccessiva stagionalità del turismo, di essere preoccupati dall’aumentare del turismo di massa o “mordi e fuggi”. Altri hanno invece espresso la loro perplessità rispetto all’aumento smisurato dell’offerta alberghiera, all’assenza di coordinamento a livello territoriale tra gli operatori del turismo, alla predilezione del pubblico per le aziende di grandi dimensioni e consolidate rispetto a quelle piccole e alla crescente disinformazione del turista medio. In Langa la lista delle preoccupazioni si fa più corposa: ai produttori spaventa per la maggior parte l’avvento di un turismo massificato e l’inadeguatezza o insufficienza della capacità ricettiva, la complessità delle pratiche burocratiche per abilitare le aziende a far visitare le cantine e alla somministrazione di prodotti in degustazione (sintomo di uno stato meno avanzato di preparazione al turismo), l’abbassamento della qualità del turismo, che richiede sempre più a gran voce una spettacolarizzazione – a loro dire – degli aspetti produttivi, senza molto interesse verso l’autenticità dei luoghi. Anche le cantine di Langa percepiscono l’accorciarsi dei soggiorni e la sgradevole alternanza tra sovraffollamento stagionale e calma piatta nel restante periodo, la difficoltà di emergere in termini di visibilità per le piccole cantine e lo scarso coordinamento tra le strutture. La soluzione al problema della visibilità esiste e si chiama decentramento, decongestione delle aree di grande flusso, riduzione dell’impatto sulla popolazione residente, rivitalizzazione delle attività commerciali e produttive nelle zone meno frequentate: il turista deve percepire in modo forte l’insieme dell’offerta in tutte le sue segmentazioni e diversificazioni: questo arginerà anche il problema del calo della spesa turistica e dell’accorciamento dei soggiorni. Lo scarso livello di comunicazione al turista è un’altra nota di demerito auto-assegnata dai produttori, e aggiungono la preoccupazione per lo stato di monocoltura in cui versano le colline, la scarsa valorizzazione dei vini meno popolari ed il rischio di perdere l’anima del territorio.

… e verso le positività

Passando all’ultima domanda, la lista di aspetti positivi percepiti si accorcia bruscamente rispetto a quella delle preoccupazioni: il Chianti ripone le proprie speranze nei clienti affezionati, che a quanto pare non mancano, e nei turisti consapevoli, che apprezzano la bellezza del territorio e che hanno voglia di imparare. Qualcuno considera il turismo di lusso la salvezza, qualcuno sostiene che la regione non smetterà mai di attirare turisti e che di ciò beneficino qualità di vita, occupazione e sviluppo del territorio, mentre un produttore di Panzano in Chianti sottolinea come in quella zona esistano legami forti tra i produttori. Dario Castagno, la storica guida del Chianti, nella sua testimonianza sottolinea con positività come la zona di cui si innamorò da bambino abbia visto diversi alti e bassi e che l’inquinamento di cui soffre ora possa essere curato grazie a coloro che -come dice lui – “lavorano bene”, ossia non si svendono per il guadagno immediato ma investono sulla qualità dell’offerta per un successo a lungo termine. In Langa invece incalza l’orgoglio di ricevere visitatori da tutto il Mondo (entusiasmo tipico delle località ancora nella prima fase dello sviluppo turistico) e che in buona parte conoscono bene il territorio e i vini, interessati anche a rapporti personali con la popolazione locale e tendenti a tornare anno dopo anno. Altri aspetti che rendono le aziende fiere sono il mantenimento di alti standard qualitativi del prodotto e il fatto che i proprietari delle cantine siano sempre presenti, che entrino loro stessi a contatto con i visitatori, aspetto confermato da entrambi gli intervistati Dario Castagno e Massimo Martinelli.

La sostenibilità nel e del turismo

Alla luce dei risultati della ricerca, appare utile rimarcare l’importanza che riveste il tema della sostenibilità nel turismo di entrambe le aree prese in considerazione, poiché grazie all’attenzione nei riguardi di questo tema si può arrivare a raggiungere quei virtuosi equilibri che permettono – non solo ad un’azienda viti-vinicola o agroalimentare – ma anche ad un’intera area turistica, di raggiungere il massimo del potenziale senza però intaccare l’identità locale e il benessere della popolazione residente. Uno sviluppo sostenibile dovrebbe rispettare gli equilibri di un sistema costruito da tre elementi: integrità dell’ecosistema, equità sociale, efficienza economica. Risulta ad esempio alquanto diffuso – tanto quanto controproducente – non attribuire la giusta dignità ai contratti degli operatori del turismo in quanto stagionali, talvolta sprovvisti di diritti basilari quali ferie, malattia, permessi o talvolta assunti con contratti originariamente elaborati per altri settori professionali, quali braccianti agricoli o altro. Questa pratica andrebbe condannata, poiché non incentiva i lavoratori a dare il meglio di sé, e ciò avrà inevitabilmente ricadute negative sull’immagine dell’azienda. Investire nel patrimonio umano dell’azienda è importante, questo riguarda particolarmente gli addetti all’accoglienza che rappresentano l’immagine della cantina davanti al pubblico. Coloro che svolgono questo delicato compito devono essere testimonial autentici, profondi conoscitori della realtà aziendale e devono essere portatori di entusiasmo: saper spiegare l’attività enologica in modo coinvolgente non è affatto semplice, così come non lo è adeguare il livello di formalità a chi ci sta innanzi, questa è una dote innata, che una turista conosciuta durante uno dei miei numerosi wine tour ha definito “intelligenza emotiva”, nulla di più veritiero. La conoscenza, l’entusiasmo, la simpatia e la piacevolezza della guida si rifletteranno non solo sul vino in degustazione in quel momento, ma sull’azienda in toto. Questo è una dei temi centrali trattati da Massimo Martinelli durante la sua intervista: non si possono pretendere turisti interessati, acculturati e disposti alla spesa, se non offriamo loro – oltre che prodotti di qualità – guide esperte e appassionate, esperienze indimenticabili che giustifichino il loro prezzo.

Qualunque manuale del turismo sostiene che questo sia uno sport di squadra, e che le aziende che pretendono di affrontare il mercato da sole, finiscano per rimanere invisibili oppure non riescano a recuperare l’investimento profuso ai fini di avere visibilità. Inoltre chi cerca di falsificare l’identità dei luoghi o delle aziende, le omologa a molti altri e l’apparente vantaggio iniziale si traduce con il tempo alla condanna all’anonimato e nel rischio di asservirsi al turismo di massa, perché se il territorio e le aziende che ne fanno parte sono un unico insieme, si travolge nel declino del territorio anche la reputazione delle aziende circostanti e dei prodotti, delle bottiglie. I danni di questa involuzione sono ancora più gravi nei luoghi in cui il successo turistico ha già causato un indebolimento dell’identità locale, e cioè dove lo stile di vita della popolazione è già cambiato in modo irreversibile. Prevenire questo fenomeno significa anche salvare il turismo futuro, e ci si dovrebbe indirizzare ad un turismo fatto di numeri più bassi, a ritmi più lenti, che sia davvero interessato a fare la conoscenza piena dei luoghi. Solo in questo modo la popolazione locale non perderà l’entusiasmo e continuerà ad essere orgogliosa di raccontarsi ai turisti. Una destinazione turistica – così come una cantina – può però arrestare il processo di degrado per assicurarsi un successo duraturo, per riuscirci è
necessario:

  • salvaguardare in primis la qualità della vita dei residenti;
  • considerare l’economia eno-turistica come accessoria a quella del vino;
  • salvaguardare l’ambiente ricercando equilibri, più che immediati guadagni;
  • salvaguardare l’identità locale come un bene economico non solo per questione etica, ma anche perché è questa che costituisce l’attrattiva turistica, il territorio non va né “museificato” né falsificato.
  • mantenere bassi i carichi turistici ed escursionistici gestendo propriamente le attività ricettive;
  • concentrare più eventi in bassa stagione e utilizzarli per valorizzare la propria specificità;
  • investire nella formazione del proprio patrimonio umano;
  • fare squadra con gli altri comuni e con le altre città del vino, creare una mentalità di bene comune che superi l’egoismo dei singoli.

Essere virtuosi però non basta, poiché tutte le aziende della zona devono seguire l’esempio: nel turismo non si vince e non si perde da soli, la collaborazione è una delle chiavi del successo.


Il presente articolo rappresenta un estratto della tesi di “Master in Wine Culture, Communication and Management” conseguito dall’autrice presso l’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Chi fosse interessato alla versione integrale può contattare Alice alice_m_91@yahoo.it