“La Stampa” di Torino ha pubblicato il febbraio scorso, a firma del direttore Mario Calabresi, un’intervista postuma di Michele Ferrero, l’imprenditore albese recentemente scomparso.Postuma, perché il grande vecchio non amava affatto incontrare i giornalisti e accettò di rispondere alle domande solo a fronte della promessa di non vedere le risposte pubblicate di lì a poco sul giornale. Gli inglesi lo chiamano “understatement”: i piemontesi, “esageruma nen”. Viene subito da pensare alla distanza siderale da un altro imprenditore, peraltro a lui vicino in affari, in quanto per molti anni beneficiario di generose campagne pubblicitarie Ferrero sulle sue televisioni.
Quell’intervista contiene la straordinaria lezione di marketing e di un uomo che non aveva un’istruzione superiore e faticava a parlare in italiano invece che nella madrelingua piemontese. Della bella intervista di Calabresi (che è disponibile integralmente sul web) riporto un passaggio: «La Valeria è la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo» (…) «Mi scusi signor Michele, ma chi è la Valeria?». «La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decide che Wal-Mart sia il più grande supermercato del mondo, che decreta il successo di un’idea e di un prodotto e se un giorno cambia idea e non viene più da te e non ti compra più, allora sei rovinato. Sei finito senza preavviso, perché non ti manda una lettera dell’avvocato per avvisare che taglia il contratto, semplicemente ha deciso di andare da un’altra parte, di non comprarti più». (…) «La Valeria è sacra, devi studiarla a fondo, con attenzione e non improvvisare mai. Bisogna avere fiuto ma anche fare tante ricerche motivazionali».
Ferrero dice anche altre cose, tutte memorabili. Provo a trarre dalle sue parole qualche riflessione.
- Pare che il vino sia tra i primi dieci argomenti di conversazione sul web a livello mondiale. Mi viene da pensare che se tutta questa comunicazione fosse in qualche modo funzionale alla “Valeria” non basterebbe il doppio del vino che si produce al mondo per soddisfare la domanda. La conclusione è che la quantità di parole che vagano per il cyberspazio contribuisce relativamente poco allo sviluppo del mercato del vino.
- “Fare anche ricerche motivazionali”. Senza aver fatto la Bocconi Ferrero centra il punto: prima l’analisi della domanda, poi la produzione. Una teoria che si scontra con un’idea molto cara al nostro mondo. Privilegiare il legame con la tradizione (e anche questa può essere una motivazione all’acquisto, la stessa Nutella è ormai “tradizione”) o la mutevole domanda del mercato? Entrambe le scelte, almeno per il vino, possono avere un senso, entrambe hanno vantaggi e rischi: l’importante è compierle non per caso, ma con la consapevolezza di quali siano gli uni e gli altri. Se un vino “tradizionale” non si vende più forse è il caso di cambiare, o forse no: ma certamente occorre interrogarsi con umiltà, senza dare la colpa al consumatore che non capisce, al giornalista che non apprezza, al presidente del Consorzio che non sa valorizzare.
- L’importanza di avere un progetto a lungo termine e degli obiettivi. Non è una specialità delle imprese italiane, che sono molto brave ad affrontare la quotidianità e a reagire prontamente agli imprevisti, ma mancano a volte dello sguardo lungo, non sempre sanno “dove vogliono andare”: la forte precarizzazione del lavoro in Italia è figlia anche di questa lacuna, e non è un danno solo per i lavoratori, ma anche per le imprese. Anche nell’ambito pratico degli investimenti il “progetto” spesso non gode della necessaria attenzione: spesso lo si affida a chi non fa progetti di mestiere, ma ha già qualcosa da vendere, pensando così di risparmiare; spesso lo si mette in piedi in quattro e quattro otto perché è uscito un bando di finanziamento pubblico, salvo poi accorgersi che si è dimenticato qualcosa e che qualcos’altro non risponde alle esigenze effettive.
- Eppure l’azienda familiare, Ferrero lo dice chiaramente, sotto questo aspetto ha un vantaggio rispetto alle società anonime di capitali: perché non deve negoziare le sue scelte con azionisti poco esperti del prodotto specifico, troppo attenti alla trimestrale di cassa e troppo poco alla visione di lungo periodo. Il capitalismo senza volto è un cavallo col paraocchi che vede solo il sacco della biada, mentre l’uomo imprenditore insegue un’idea, rischia, non si fa scoraggiare dai primi insuccessi, e alla fine può perdere, ma anche vincere. Nel vino ci sono esempi illuminanti. Nel suo libro autobiografico, “Harvest of joy”, Robert Mondavi, uno dei padri storici della moderna enologia californiana, racconta che con l’ambiziosa scelta di quotare l’azienda in borsa cominciarono i suoi guai. Di lì a pochi anni la mega-holding Constellation Brands ne avrebbe fatto un boccone.