Alessandra Biondi Bartolini
Sebbene sia sicuramente chiaro a tutti che in Europa l’aggiunta di acqua alla scopo di diluire il contenuto zuccherino dei mosti o di ridurre la gradazione dei vini sia una pratica illecita classificabile come sofisticazione, non tutti sanno che su questo punto non esiste uniformità nelle norme dei paesi produttori e che per l’acqua utilizzata a fini tecnologici nel corso del processo enologico non ci sono dei precisi riferimenti in merito alle quantità e alle caratteristiche.
È per questo motivo che OIV l’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, che si occupa di armonizzazione delle regole e riconoscimento reciproco di quelle presenti nei diversi stati membri, ha istituito una task force sull’acqua in vinificazione coordinata da Monika Christmann, docente dell’Università di Geisenhiem e Vice Presidente OIV.
Nella relazione pubblicata da OIV nel dicembre 2021 sono stati riportati lo stato dell’arte sull’uso dell’acqua in cantina, le differenze tra le diverse normative, gli studi sui quantitativi di acqua utilizzabile per le “specifiche necessità tecniche” legate al processo, e le necessità di ottimizzazione dei metodi di analisi per rispondere a un contesto tecnologico e climatico in evoluzione.
Diverse le conclusioni che aprono alla necessità di avviare da parte di OIV nuove linee di ricerca riguardanti l’uso dell’acqua in cantina.
Anzitutto si rileva nel rapporto, come la mancanza di trasparenza e di conoscenze sulla quantità di acqua aggiunta per necessità tecniche nel corso del processo, determini delle difformità nelle transizioni commerciali internazionali, a causa di un vuoto che è necessario colmare.
In alcuni paesi come l’Australia o gli USA infatti la diluizione dei mosti entro certi limiti è autorizzata allo scopo di facilitare la fermentazione nel caso di eccessive concentrazioni in zuccheri.
Il quantitativo massimo di acqua per diluire i prodotti enologici, additivi e coadiuvanti, o per reidratare i lieviti o ancora i residui che possono restare dopo i lavaggi nei serbatoi, impianti, filtri, valvole e tubi, è fissato entro certe percentuali in alcuni paesi (il 7% per l’Australia e per il Cile ad esempio), mentre il Regolamento europeo 1308/2013 esclude l’uso dell’acqua “se non per specifiche necessità tecniche” (corrispondenti a quelle appena elencate) ma non riporta alcun limite quantitativo.
Ma quanta acqua si utilizza in cantina effettivamente per i soli usi tecnologici e di processo? Uno studio dell’Istituto Nazionale Argentino per la Viticoltura, prendendo in esame un uso ipotetico di tutti i coadiuvanti e additivi reidratabili o solubilizzabili unicamente in acqua, mediando livelli massimi e minimi di utilizzo e i diversi metodi di vinificazione, ha stimato una percentuale complessiva del 2,8% del volume totale di vino, ripartita tra il 2,4% per i prodotti enologici e lo 0,4% per residui da lavaggi e operazioni di svuotamento o filtrazione. Un valore medio abbastanza in linea con la forbice individuata da un analogo studio condotto dall’Università di Geisenheim, nella quale le quantità di acqua stimate sono comprese tra un minimo dell’1,1% e un massimo del 5,8%, mentre un altro studio dell’Università spagnola Rovira y Virgili avrebbe individuato un valore massimo dell’8,1%.
Valori che nei loro limiti superiori possono apparire elevati e che, essendo valutati sulla base dell’utilizzo di qualsiasi pratica e prodotto autorizzato sono effettivamente anche poco plausibili (in nessun protocollo enologico accade di utilizzare tutti i prodotti enologici diluibili in acqua), ma che sarebbero comunque giustificabili dal punto di vista legale.
A queste incertezze che richiedono di essere chiarite per arrivare a una raccomandazione da parte di OIV, che possa servire da riferimento futuro anche in ambito regolatorio, si aggiunge la necessità di aggiornare e migliorare la sensibilità dei metodi di analisi ufficiali che attualmente si basano sui rapporti isotopici di 18O/16O in riferimento alle banche dati ufficiali nazionali.
Le necessità sono da un lato quella di migliorare la rappresentatività delle banche dati, includendo una variabilità che a causa di alcune pratiche viticole (come l’irrigazione ad esempio) e delle cambiate condizioni climatiche, diviene sempre più ampia, e dall’altro di identificare dei metodi che possano essere ugualmente sensibili anche per livelli bassi di annacquamento e non siano influenzati (dando risultati poco affidabili) in caso di applicazione di tecniche fisiche autorizzate come la dealcolazione, in grado di modificare i rapporti tra gli isotopi dell’ossigeno.