Agosto 2021

Densità di impianto, lo Champagne ci ripensa

Il tabù non resiste alla verifica sperimentale. Spaziando di più i filari si produce di meno, ma la qualità non peggiora. Anzi.

Densità di impianto, lo Champagne ci ripensa

Maurizio Gily

Il Consiglio di amministrazione del Syndicat Général des Vignerons ha appena preso due decisioni cruciali per il futuro dello Champagne: la possibilità di piantare le viti con densità più basse di quelle tradizionali e l’autorizzazione temporanea del vitigno resistente Voltis.

Il CIVC (Comité interprofessionnel du vin de Champagne) ha avviato la sua prima ricerca sulle vigne cosiddette ”semi-larges” (a partire da 4.000 ceppi/ha, contro gli 8.000 attuali) negli anni ’90.

In particolare negli ultimi 15 anni prove sono state effettuate su 17 parcelle sperimentali sparse in tutta la regione della Champagne. I riscontri finali sono risultati favorevoli alla riduzione del numero dei ceppi, con numerose degustazioni cieche che hanno confrontato i due sistemi e hanno coinvolto oltre duecento degustatori, oltre ai riscontri di tipo agronomico e analitico. Secondo Arnaud Descotes, direttore del servizio tecnico dello Champagne Committee, la conclusione è chiara: “Nei 2/3 dei casi non è stato possibile differenziare i campioni. Nel terzo rimanente i degustatori hanno rilevato differenze molto lievi nei profili aromatici, nel senso di un frutto un po’ più maturo e una tensione più sostenuta per i campioni delle vigne semi-larghe. ”

In base a questi risultati il Sindacato Generale dei Vignaioli ha votato a favore dell’autorizzazione a modificare il sesto di impianto per i nuovi vigneti. Ma la modifica deve essere approvata dall’INAO, l’istituto Nazionale per le Denominazioni di Origine, che normalmente è su posizioni piuttosto conservatrici e sicuramente si prenderà un buon margine di tempo per decidere.

La motivazione ufficiale di base riguarda l’adattamento al riscaldamento del clima. La riduzione della densità tendenzialmente fornirebbe infatti uve più ricche di acidità e più resistenti allo stress idrico (al contrario di quanto sostenuto da autorevoli studiosi sia in Italia che in Francia). Risultano inoltre leggermente meno sensibili alle gelate primaverili grazie alla posizione più alta dei germogli (l’aria fredda più pesante tende ad accumularsi verso il suolo). Le primavere più calde degli ultimi anni hanno favorito un germogliamento più precoce, con maggiori rischi per i ritorni di freddo.

Il secondo vantaggio riguarda l’impronta ecologica. La maggior distanza tra le file facilita l’inerbimento e il lavoro sottofila, come alternativa al diserbo e un minor consumo di pesticidi.

Le prove mostrano, a parità di cure colturale (concimazione etc.) un calo della resa del 18%, ma la resa da disciplinare per la denominazione è 12.400 kg di uva per ettaro e con le densità elevate si tende facilmente a superarla. Inoltre i costi di produzione ovviamente si riducono.  E secondo i critici questa sarebbe la motivazione principale della scelta,  ispirata dalle grandi compagnie e non condivisa dai piccoli produttori (così almeno si dice, ma in realtà il Sindacato è formato dai viticoltori e dalle cooperative, non ci sono le grandi Maison). I contrari affermano inoltre che si vogliono porre le premesse per la raccolta meccanica, attualmente vietata in Champagne.  Ma in realtà di questo non si parla nella delibera del Sindacato, e comunque la vendemmia meccanica è teoricamente possibile anche con  filari molto stretti, grazie a macchine scavallanti progettate per questo scopo.

Ci sono riserve che riguardano l’impatto sul paesaggio, destinato a cambiare con l’adozione di filari più distanziati. I paesaggi viticoli della Champagne sono classificati Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Ma il riconoscimento non dovrebbe essere in discussione: infatti la candidatura riguardava un panorama culturale vivo e quindi per definizione in perenne evoluzione. 130 anni fa, in Champagne si piantavano anche 45.000 viti per ettaro. Il paesaggio agrario si evolve al mutamento delle condizioni.

Il vitigno Voltis

La SGV ha inoltre convalidato l’adozione del nuovo vitigno Voltis, in via sperimentale, per un periodo di 10 anni. 25 anni fa, l’INRA decise di riprendere i programmi di miglioramento delle piante basati su una tecnica tradizionale: l’ibridazione. Si trattava di incrociare varietà di vitis vinifera europea con Vitis di origine americana o asiatica al fine di ottenere varietà di uve di qualità ma resistenti alle crittogame. “Quando incroci una volta una vitis vinifera con una specie americana, ottieni un ibrido produttore diretto. Gli anziani si erano fermati lì, la qualità non c’era. L’INRA ha reincrociato gli individui ottenuti con vinifera, e questo fino a sei volte di seguito. Gli ibridi hanno quindi integrato più del 95% della vinifera nel loro genoma, ma i ricercatori hanno assicurato in ogni fase di conservare almeno due geni per la resistenza alla peronospora e due geni per la resistenza all’oidio da oidio. Quattro nuove varietà sono state così inserite nel catalogo francese, tra cui Voltis”, spiega Arnaud Descotes.

Voltis è stato piantato nell’azienda sperimentale di Plumecoq. Le sue qualità organolettiche sembrano abbastanza compatibili con l’identità dei vini Champagne. “Su un 100% Voltis si distingue facilmente, come si distingue uno Chardonnay da un Pinot Nero. Dà un vino bianco con freschezza, poco aromatico. Questo è esattamente ciò che cerchiamo in Champagne, dove non vogliamo vitigni esuberanti. “Inizialmente, sarà autorizzato solo fino al 5% delle superfici in ogni azienda agricola e non dovrà superare il 10% in un blend. “E’ una soluzione che può risolvere un certo numero di problemi, la immaginiamo in via prioritaria per le viti che vengono piantate nelle immediate vicinanze delle abitazioni o ai margini dei punti d’acqua ad esempio, per risolvere alcuni problemi ambientali o conflitti con i residenti locali. ”

 

Fonte principale: https://www.terredevins.com/

FOTO: CIVC, champagne.fr