Alessandra Biondi Bartolini
La manifestazione torna in presenza a Vicenza con la formula già collaudata che vede susseguirsi nelle quattro sale le presentazioni dei risultati della ricerca pubblica e privata, le degustazioni tecniche e le dimostrazioni demo delle nuove tecnologie. Una piazza e un momento di scambio che ha permesso ai produttori, i professionisti della vite e del vino e i fornitori di prodotti e tecnologie di incontrare il mondo della ricerca e della sperimentazione, e dove sono stati i giovani ricercatori a illustrare il dinamismo e le nuove idee che nascono e si sviluppano nelle nostre università.

Moio: una nuova ricerca per un momento di crisi
Sono stati Luigi Moio dell’Università Federico II di Napoli e Presidente dell’OIV e Stefano Poni dell’Università Cattolica di Piacenza ad aprire i lavori di Enoforum 2023, inquadrando nei loro interventi le sfide che in cantina e in vigneto ci aspettano a causa della crisi climatica in corso.
Una situazione per certi versi simile a quella vissuta all’arrivo della fillossera, ha spiegato Moio ripercorrendo le tappe e la storia della ricerca enologica e del cammino che ha permesso oggi di creare un modello di qualità, diversità e valori legati al territorio e che oggi rischia di essere messa in discussione se non di scomparire.
Gli strumenti per contrastare, non soltanto la variazione nella caratteristiche compositive e organolettiche dei vini, ma anche il rischio di riduzione di shelf life dei vini, la minore resistenza alle ossidazioni e la crescente instabilità chimica e microbiologica, sono i temi più urgenti da affrontare nella ricerca viticola ed enologica, talvolta invertendo gli obiettivi che ci si era dati non molti anni fa.
E molte sono state nei tre giorni della manifestazione le relazioni delle ricercatrici e i ricercatori delle Università e delle aziende di tecnologie e servizi, che hanno affrontato questi temi, proponendo nuove soluzioni per ottenere vini stabili e di qualità con la massima riduzione possibile di input.
L’attenzione all’ecosistema del vigneto e dei mosti e le soluzioni biotecnologiche
In vigneto la ricerca si sta orientando a individuare le varietà più adatte a conservare il profilo acidico – attingendo anche nel patrimonio viticolo dei vitigni minori – a selezionare nuovi portinnesti, sperimentare le tecniche viticole utili per regolare la durata delle fasi fenologiche, limitare i rischi legati alle gelate tardive, contenere gli stress termici idrici e radiativi e gestire il disaccoppiamento della maturazione. Ma anche la fertilità del suolo e l’incremento delle conoscenze sul ruolo dei microrganismi della rizosfera e della pianta sono al centro di un approccio di sempre maggiore sostenibilità.
Continuano a crescere l’interesse e le esperienze di selezione e uso dei lieviti non Saccharomyces, utilizzati sia a scopo di bioprotezione (ne parleremo sul numero di Millevigne in uscita tra pochi giorni), sia per l’acidificazione biologica, come nel caso di Lachancea thermoltolerans o per la valorizzazione aromatica con Kluyveromyces marxianus o i lieviti selezionati da matrici zuccherine diverse come il miele o la manna Candida oleofila o Starmenella lactis condensi. Continua contemporaneamente anche lo studio del metabolismo dei ceppi di Saccharomyces cerevisiae che permette di identificare le regioni del genoma relative ai caratteri di produzione o consumo dell’acido malico, e del rendimento in alcol.
Nuovi rischi di instabilità e ricerca di nuove soluzioni
Tra i mezzi per la correzione delle acidità, sempre più basse nelle annate calde, Pierre Louis Tesseidre dell’Università di Bordeaux ha presentato i risultati ottenibili con l’uso dell’acido fumarico, recentemente autorizzato e in grado di esplicare anche un’azione antimicrobica sull’attività dei batteri lattici.
Ma non sono soltanto le gradazioni alcoliche crescenti e il crollo delle acidità delle uve e dei vini a preoccupare i produttori: le condizioni di stress che si generano in vigneto soprattutto nella fase di maturazione portano a una diversa composizione nelle proteine e nelle pectine dell’acino, maggiore presenza di calcio e sintesi di molecole instabili come la quercetina. Nuovi rischi di instabilità che rendono i vini più sensibili alle precipitazioni, le cadute di colore, le ossidazioni e gli intorbidamenti e che è necessario approfondire per trovare soluzioni adeguate e a basso impatto.
Uno sguardo sui vini effervescenti e la ricerca italiana sui vini bianchi
Con la conferenza di Gerard Liger Belair dell’Università di Reims, che ha presentato venti anni di studi sulla fisica della CO2 nello Champagne, la terza mattina è stata dedicata prevalentemente alle tecnologie e la ricerca sui vini effervescenti, mentre non sono mancati nei tre giorni di lavori gli approfondimenti sulla scelta del tappo in funzione degli obiettivi enologici.
La chiusura è stata affidata alla presentazione dei risultati del progetto D wines svolto da un consorzio di Università italiane e coordinato dall’Università di Verona sulla caratterizzazione dei vini bianchi italiani e del quale avremo modo di parlare ancora.