Marzo 2023

Gli Svitati: i pionieri dell’innovazione del vino italiano per sostenere la scelta del tappo a vite

Il 6 marzo a Gambellara cinque produttori, gli Svitati, hanno deciso di dare un segnale e abbattere i luoghi comuni sui vini chiusi con i tappi a vite in alluminio

Gli Svitati: i pionieri dell’innovazione del vino italiano per sostenere la scelta del tappo a vite

Il 6 marzo a Gambellara cinque produttori hanno deciso di dare un segnale (o sarebbe meglio dire un “giro di vite”) e abbattere i pregiudizi e i luoghi comuni che ancora ci sono sui vini chiusi con i tappi a vite in alluminio.

Gli “Svitati” sono Franz Haas con Franz Haas jr e Maria Luisa Manna, Graziano Prà, Silvio Jermann, Mario Pojer e Walter Massa: cinque testimonial d’eccezione mossi dall’attenzione al dettaglio e dal rispetto della qualità dei vini, pionieri del tappo a vite in Italia, come lo sono stati di molti altri cambiamenti o visioni del vino italiano.

di Alessandra Biondi Bartolini

Gli Svitati: le cinque aziende che sostengono la scelta del tappo a vite
Gli Svitati: le cinque aziende che sostengono la scelta del tappo a vite

Ognuno di loro ha raccontato la sua esperienza e il motivo che lo ha portato a scegliere, per tutti o per alcuni dei loro vini, la capsula in alluminio. Dal primo, Silvio Jermann che ha adottato la chiusura a vite già nel 2002 e introdotto in azienda la prima testata di chiusura dedicata, quando l’investimento era molto più importante di adesso, ai moltissimi test realizzati da Franz Haas, nella cui azienda questa chiusura è stata introdotta anche sui vini più importanti, fino a Mario Pojer che dopo le prime prove fatte già diversi anni fa guardando alle esperienze dei produttori svizzeri e coltivando il sogno di un vino in fiala ermetica, ha introdotto recentemente la chiusura a vite sul Sauvignon e sulla nuova linea Monogramma.

La differenza la fanno spesso i mercati, perché le aziende che hanno un mercato prevalentemente italiano, faticano a introdurre alternative al tappo in sughero, mentre all’estero, soprattutto sui mercati anglosassoni, queste chiusure sono accettate senza problemi se non richieste. In altri casi come ha raccontato Graziano Pra l’introduzione delle nuove chiusure ha dovuto attendere che a convincersi fossero i Consorzi e che i disciplinari fossero modificati (per Pra l’ok per il Soave è arrivato solo nel 2010).

“A volte sembra che le persone ritengano che il tappo a vite sia arido” ha spiegato Walter Massa, “ma dietro alle scelte ci sono uomini e donne che hanno come solo obiettivo quello di rispettare il loro vino” .

Anche le cerimonie e i rituali si possono cambiare

Come sempre per cambiare qualcosa di molto tradizionale e consolidato nel contesto di riti e cerimonie che accompagnano il mondo del vino e il suo servizio, ci vogliono tempo, le esperienze di qualche pioniere e il sostegno della ricerca. Quando poi l’innovazione riguarda non tanto una tecnica di produzione, una macchina per il vigneto o un impianto per la cantina, ma un elemento del packaging le difficoltà si moltiplicano. Perché a doversi convincere della bontà del “nuovo” non sono tanto i produttori (che percepiscono più facilmente quello che è meglio per la qualità dei loro vini), quanto piuttosto i consumatori, i ristoratori, i distributori, i sommelier e gli agenti di vendita. Ma gradualmente anche l’affezione verso il rituale della stappatura (che crediamo essere una parte tutto sommato minore nelle funzioni e capacità di un sommelier di sala) si fa sempre più fievole. Con il tempo si creeranno nuovi cerimoniali, lasciando magari più spazio ai contenuti e al vino e come ha affermato Silvio Jermann, quello che evoca il “pop” del sughero lo potrà richiamare il “cric” del tappo a vite.

In Australia un percorso di ricerca e trasferimento

Gli Svitati: l’incontro del 6 marzo a Gambellara

Non si può parlare di tappo a vite senza citare l’Australia, dove nel 2018 lo screwcap era utilizzato sull’88% dei vini imbottigliati. Nè si può tralasciare il racconto di come, ormai un quarto di secolo fa, la ricerca e la sperimentazione in quel paese abbiano guidato le scelte dei produttori in fatto di tappi, grazie a quella formula virtuosa di governance pubblico-privata che gestisce e finanzia l’attività dell’Australian Grape and Wine Research.

A ripercorrere le tappe che hanno permesso di approfondire le conoscenze sui diversi comportamenti dei tappi, è stato Fulvio Mattivi, ricercatore di fama internazionale presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, che ha sottolineato come queste ricerche siano state la miccia che ha innescato una corsa al miglioramento per tutte  le tipologie di chiusura (non solo il tappo a vite, ma anche le chiusure tecniche di altro tipo e materiale e gli stessi tappi in sughero).

La prima sperimentazione dei ricercatori australiani, guidati da Peter Godden, risale al 1999 e consisteva nel confronto tra 14 diverse chiusure (tappo a vite, sughero, tappi agglomerati e tappi sintetici),  in un unico disegno sperimentale che coinvolgeva  8600 bottiglie di un vino Semillon. Lo scopo era di valutare l’evoluzione dei parametri chimico-fisici e organolettici dei vini per dieci anni, anche se dopo tre anni di test e prove i risultati e le differenze di performance e comportamento erano apparsi già sufficienti per trarre delle conclusioni e dare le prime indicazioni ai produttori. Si capì in quelle prime prove che la perdita di freschezza e l’alterazione del colore nel tempo, erano fortemente correlati con il consumo di anidride solforosa e che questa rappresentava quindi una misura rapida da utilizzare per descrivere le performance delle chiusure. L’anidride solforosa sarebbe cioè, ha spiegato Mattivi, un antiossidante sacrificale nel controllo dei fenomeni ossidativi in bottiglia: fintanto che è presente, è la solforosa che va a combinarsi con l’ossigeno in un meccanismo che coinvolge anche polifenoli e metalli.

le capsule a vite si sono evolute
le capsule a vite si sono evolute

Nel set di tappi analizzato dai ricercatori australiani i tappi a vite avevano evidenziato la migliore capacità di conservare l’anidride solforosa e con essa i caratteri di aroma e colore dei vini. Seguivano i tappi tecnici e due dei sugheri allora analizzati.

Gli studi australiani e gli altri lavori di ricerca realizzati in Portogallo, Francia e Italia negli anni successivi, hanno poi portato ad approfondire altri aspetti, come il comportamento delle diverse chiusure nei confronti del passaggio dell’ossigeno e l’impatto sulla comparsa dei difetti di riduzione o di ossidazione.

Si è evidenziata ad esempio l’importanza non solo della permeabilità del tappo, ma anche delle condizioni di imbottigliamento sul contenuto di ossigeno disciolto totale della bottiglia, il cui impatto può in alcuni casi superare quello legato all’accesso dell’ossigeno attraverso la chiusura, il cosiddetto OTR. E più recentemente si sono messe in relazione la comparsa delle note di ossidazione e delle molecole responsabili, con il passaggio dell’ossigeno nel corso della conservazione in bottiglia.

Per rispondere al dubbio relativo alla possibile esistenza di una relazione tra l’uso della capsula in alluminio e la comparsa dei caratteri di riduzione un aiuto è arrivato dai dati forniti dall’analisi dei vini scartati nelle degustazioni dell’International Wine Challenge tra il 2007 e il 2017: la percentuale di vini scartati a causa del carattere riduttivo o “solforoso” è comparabile per i vini sigillati con sughero naturale, chiusure sintetiche o tappi a vite.

Non è quindi il tappo a causare la comparsa dei difetti di riduzione quanto piuttosto la presenza di precursori solforati inodori formatisi nel corso del processo in vasca e suscettibili di liberare le molecole odorose in condizioni di riduzione.

Tempi maturi per abbandonare i pregiudizi sul tappo a vite

La degustazione ha proposto vini chiusi con sughero e tappo a vite

Nel tempo poi l’industria e i produttori di tappi a vite hanno sviluppato nuove soluzioni, introducendo liner e guarnizioni multistrato di materiale polimerico con permeabilità diversa. In questo modo è diventato possibile regolare l’accesso di microdosi controllate di ossigeno e gestire non solo il rischio di comparsa dei difetti legati ai composti solforati, ma anche l’evoluzione stessa dei vini, sia bianchi che rossi. “Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero.” ha concluso Mattivi.

Nelle degustazioni riportate in letteratura quindi, così come anche nei vini degustati nell’incontro di marzo e che saranno analizzati dal ricercatore trentino presso i laboratori di San Michele all’Adige, si è potuto constatare che, quando non ci sono difetti legati al sughero, i vini chiusi con sughero di buona qualità o con tappo a vite possono evolvere talvolta in modo diverso o con diversa velocità, ma mantengono in ogni caso i loro caratteri di qualità nel tempo. La differenza sta nel rischio di comparsa dei difetti o la variabilità nelle performance tra una bottiglia e l’altra. Non è una differenza da poco e come abbiamo raccontato anche nell’articolo “Quei pochi centimetri ai quali affidiamo la qualità dei vini” sul numero 3 – 2022 di Millevigne la stessa industria del sughero sta investendo grandi risorse in innovazione e ricerca per migliorare questi aspetti.

L’importante è che finalmente sia i produttori sia i consumatori conoscano le caratteristiche e le prestazioni di tutte le chiusure, le performance enologiche, la sostenibilità e la praticità. E i tempi sono maturi per abbandonare i pregiudizi.