Di Oreste Gerini – Direzione Generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell’ippica – Mipaaf
La Commissione ha definito per l’Unione un piano d’azione per l’agricoltura biologica attraverso cui, nell’ambito della strategia Farm to Fork del Green Deal, dovrà essere raggiunto l’obiettivo del 25% dei terreni agricoli coltivati con il sistema biologico entro il 2030, contemporaneamente ad un aumento significativo dell’acquacoltura biologica; in tale ambito l’azione 14 del piano è volta ad incoraggiare gli Stati membri a sostenere lo sviluppo dei “Bio-Distretti”.
Nella riunione di insediamento del gruppo degli “Ambasciatori” per l’attuazione del Piano di azione per l’Agricoltura Biologica a livello nazionale e per lo scambio di buone prassi a livello di Unione Europea, i Bio-Distretti sono stati uno dei principali argomenti di discussione, assieme alla promozione delle mense biologiche ed alla crescita della “certificazione di gruppo”, che molto potrebbe contribuire a determinare negli operatori la scelta di convertire le proprie aziende al sistema biologico. In tale contesto la rappresentanza italiana è stata chiamata a illustrare la propria esperienza e le potenzialità degli strumenti della certificazione di gruppo e della promozione dei bio-distretti per favorire lo sviluppo sostenibile dei territori.
I Bio-Distretti sono inclusi nel Piano d’Azione perché sono iniziative molto promettenti, il cui ulteriore sviluppo potrà contribuire sia a rafforzare la catena del valore del biologico e ad aumentare l’offerta di prodotti biologici che a favorire una crescita sostenibile dei territori interessati.
Cosa si intende per Bio-Distretto? Un Bio-Distretto è un’area geografica in cui agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni ed Enti pubblici stipulano un accordo per la gestione sostenibile delle risorse locali, basata sulla produzione e il consumo di prodotti biologici (filiera corta, gruppi di acquisto, mense biologiche negli uffici pubblici e nelle scuole). Nei Bio-Distretti, la promozione del prodotto biologico è indissolubilmente legata alla valorizzazione del territorio e delle sue peculiarità affinché possa esserne realizzato tutto il potenziale economico, sociale e culturale.
L’Italia è un Paese pioniere dei bio-distretti: la loro creazione è stata supportata fin dal 2001.
Nei distretti biologici tutti gli attori promotori della loro creazione stipulano e sottoscrivono protocolli non solo per la diffusione del metodo dell’agricoltura biologica tra agricoltori e consumatori, ma anche per il sostegno e la promozione di attività sostenibili diverse dall’agricoltura, come la ristorazione o l’artigianato.
Secondo la mappa dei bio-distretti europei, creata e recentemente aggiornata da I.N.N.E.R.- International Network of Eco-Regions -, in Italia i distretti biologici sono attualmente 42 (di cui alcuni in via di costituzione). L’ultimo realizzato in ordine di tempo (dicembre 2021) è il Distretto Biologico della Regione Marche, creato dall’amministrazione regionale e che coinvolge tutto il territorio marchigiano
La loro creazione si è dimostrata efficace nell’integrare l’agricoltura biologica e le attività locali per migliorare il turismo locale anche nelle aree a minor vocazione turistica. Rafforzano la lavorazione locale dei prodotti, favorendo il mantenimento e l’incremento anche di realtà produttive e di trasformazione di piccola dimensione economica, promuovono circuiti commerciali corti e la vitalità rurale, concorrono ad evitare lo spopolamento delle campagne, con influenze positive sullo stile di vita, sull’alimentazione, sull’uomo e sulla natura, con grande apprezzamento da parte dei consumatori, dando un’identità specifica a un’area geografica.
E’ di tutta evidenza l’attrattiva che può avere un territorio in grado di presentarsi come “pulito” e in grado di offrire produzione agroalimentari tipiche, non rinvenibili altrove, produzioni che sono in grado di associare alla qualità organolettica l’immagine di una alimentazione più sana.
La piena valorizzazione delle potenzialità di sviluppo sostenibile offerte dai Bio-Distretti dovrà essere accompagnata da opportune forme di comunicazione delle attrattive offerte dal territorio nel suo complesso.
Per creare i bio-distretti occorre lavorare molto “sul campo”, dove è importante avere un consenso generale tra le diverse categorie che possono sostenere la loro istituzione: è un patto di sostenibilità tra produttori, consumatori e amministratori locali.
La creazione e promozione dei distretti biologici è sostenuta dal ‘Fondo per l’agricoltura biologica’, una legge del 2019 che finanzia misure per favorire forme di produzione agricola a ridotto impatto ambientale. Il Fondo ha avuto una dotazione di 5 milioni di euro annui a partire dal 2020, a cui si sono aggiunti ulteriori 15 milioni con un accantonamento aggiuntivo nel 2021. Il 30% delle risorse finanziarie del Fondo è dedicato ai bio-distretti, e il Ministero delle Politiche Agricole (Mipaaf) sta ora attuando le procedure per l’emanazione dei bandi pubblici per l’assegnazione dei fondi previsti.
Le esperienze già esistenti possono fornire indicazioni importanti sull’avvio ed il funzionamento di un bio-distretto, che in genere nasce grazie alla spinta di agricoltori biologici e di cittadini interessati ad avere alimenti sani, a filiera corta, a prezzi equi e che desiderano tutelare l’ambiente in cui vivono. E’ molto importante per la loro realizzazione ed il loro successo anche il ruolo delle amministrazioni locali che, attraverso le loro scelte, sono in grado di influenzare le abitudini dei consumatori e dei mercati locali.
La Legge n. 23 del 9 marzo 2022 ha stabilito che sono distretti biologici, che continuano ad essere annoverati tra i distretti del cibo, anche i “sistemi produttivi locali, anche di carattere interprovinciale o interregionale, a spiccata vocazione agricola nei quali siano significativi:
- a) la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione e la preparazione alimentare, all’interno del territorio individuato dal biodistretto, di prodotti biologici conformemente alla normativa vigente in materia;
- b) la produzione primaria biologica che insiste in un territorio sovracomunale, ovverosia comprendente aree appartenenti a più comuni.”
I distretti biologici si dovranno caratterizzare per l’integrazione con le altre attività economiche (ossia non strettamente agricole), presenti nel territorio e viene auspicata la partecipazione allo stesso di Enti locali e di ricerca che dovranno adottare politiche green, ossia volte alla salvaguardia dell’ambiente, della biodiversità e delle produzioni biologiche. La difesa del territorio e dell’ambiente, quale mission speciale che dovranno avere i bio-distretti, è ulteriormente rafforzata dalla disposizione che prevede la massima limitazione, al loro interno, dell’uso dei prodotti fitosanitari e dei diserbanti, anche nelle zone non coltivate.
Le diverse fasi per la realizzazione di un bio-distretto vedono innanzitutto la costituzione di un Comitato promotore che ha come primo compito quello di presentare la domanda di riconoscimento alla/e Regione/i in cui ha sede.
Il Comitato promotore dovrà naturalmente favorire iniziative per la comunicazione dell’attività che ha intrapreso e dei relativi obiettivi che si pone, anche attraverso l’organizzazione di eventi pubblici, non solo per coinvolgere i soggetti potenzialmente interessati sul territorio e condividere assieme obiettivi e percorsi del progetto, ma anche per verificare l’interesse della Comunità alla costituzione del bio-distretto ed analizzare le potenzialità e le problematiche presenti sul territorio.
Alla suddetta fase iniziale deve seguire in genere l’elaborazione di un “documento programmatico”, con parte attiva le Amministrazioni, i singoli produttori e le loro associazioni, e tutti gli altri attori interessati che, per la buona riuscita dell’iniziativa, dovrà prevedere un sistema di coordinamento delle attività da porre in essere.
Avuta contezza delle risorse messe a disposizione da tutti gli attori, pubblici e privati, partecipanti al progetto deve essere elaborato un programma, concertato fra le parti, di attività da realizzare con le risorse.
A questo punto un ruolo importante dovrà essere svolto dalle azioni di comunicazione dell’iniziativa volte a trovare ulteriori risorse, informare delle attività previste, individuare associazioni e cooperative locali (ad es. quelle che operano nell’ambito dell’agricoltura sociale) che possano essere coinvolte in attività di gestione del bio-distretto: mi riferisco a promozione dell’iniziativa, organizzazione di eventi, logistica e collegamento tra produttori e consumatori (filiere corte).
La proposta di legge prevede anche che la richiesta di riconoscimento debba essere presentata alla Regione di appartenenza, che venga costituito un consiglio direttivo che adotti uno statuto ed un regolamento anche ai fini delle domande per i contributi nell’ambito della PAC e della partecipazione ai programmi di ricerca nazionali.
Tra gli obiettivi specifici che la creazione di un Bio-Distretto si possono, ad esempio, ricordare:
- Favorire la produzione biologica nel territorio valle, diversificando anche le tipologie di produzione, e la lavorazione locale;
- Promuovere il consumo di prodotti biologici prodotti localmente, tra la società civile ma soprattutto nel sistema Ho.Re.Ca.;
- Aumentare la coesione, la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nella filiera del biologico, insieme con le istituzioni locali, al fine di promuovere il prodotto biologico dentro e fuori il distretto;
- Supportare la produzione, il confezionamento, la commercializzazione e la promozione della produzione biologica;
- Promuovere e preservare l’agrobiodiversità, le tradizioni culturali e l’ambiente naturale;
- Facilitare l’accesso e semplificare le procedure per la certificazione biologica, in base ai Regolamenti UE (ad esempio con la “certificazione di gruppo”, altro argomento affrontato nel corso della riunione degli “Ambasciatori” UE del BIO;
- Promuovere e organizzare attività di ricerca, dimostrazione, divulgazione ed educazione riguardanti l’agricoltura biologica e la governance sostenibile del territorio.
- Favorire il turismo legato all’alto valore naturalistico del territorio, alla produzione biologica e alle tardadizioni culturali.
In una interessante pubblicazione di Alessandro Triantafyllidis, dal titolo “Local Governance through Organic Farming – The bio-district of the Vara Valley, a private/public partnership to assure vitality to a rural area” vengono illustrati i positivi effetti su un piccolo territorio della Liguria, la Val di Vara, con la conversione di numerosi allevatori di bestiame al biologico, e come l’iniziativa favorì lo sviluppo, l’identità, la cooperazione, il lavoro e, infine, l’attribuzione di un meritato soprannome al territorio (la Valle del Biologico) che ha contribuito ad attrarre turisti nella zona; il territorio è stato riconosciuto come Bio-Distretto con una legge regionale del 2009.
Oltre a invitare gli Stati membri a riflettere su come incoraggiare la creazione o l’ulteriore sviluppo di “biodistretti” nei rispettivi paesi, la Commissione europea sta organizzando premi biologici con una specifica categoria di riconoscimenti dedicata ai ‘distretti bio’. Questi premi daranno visibilità ai “distretti bio” esistenti e aumenteranno la consapevolezza del pubblico sulle loro caratteristiche e benefici per la produzione biologica. I premi mirano a ispirare altri attori a seguire l’esempio, sempre nell’ottica del perseguimento degli obiettivi della Farm to Fork Strategy.
Una realtà da promuovere, quindi, nell’ambito della strategia dello sviluppo “verde” promosso dall’Unione Europea, con ricadute positive da tutti i punti di vista sui territori interessati.
Per dare ancora maggior impulso alla crescita del territorio, l’iniziativa dovrebbe essere inserita in un progetto di valorizzazione globale delle risorse naturali, anche paesaggistiche, e delle produzioni della zona, a partire da tutte le produzioni agroalimentari che beneficiano del riconoscimento e protezione comunitaria come DOP e IGP, sia vitivinicole che agroalimentari.
Può essere l’occasione per dare reale importanza ai prodotti agroalimentari tradizionali (cosiddetti P.A.T.): si tratta di eccellenze enogastronomiche quasi sconosciute al di fuori delle limitatissime zone dove sono prodotte, ma che possono diventare parte importante di un’offerta fondamentale per la crescita del turismo enogastronomico e per la valorizzazione di aree naturali di bellezza e fascino impagabile.
Nell’ottica di un simile progetto il recupero di aree un tempo coltivate ma poi abbandonate può contribuire a generare una massa critica di produzione tale da costituire la base di un ritorno economico per gli operatori che possa invogliare anche le nuove generazioni a valorizzare tutte le filiere del territorio, riscoprendo anche sistemazioni agronomiche del terreno che tanto fascino possono esercitare sui potenziali visitatori del Distretto.