Maurizio Gily
Solitamente la modifica di un disciplinare DOP, anche se importante per chi produce quel vino, non è proprio di quelle notizie che “spaccano”: le denominazioni sono soggette a frequenti processi di revisione e ripensamento che si basano sui “feedback” di chi opera sul mercato: cambiamento delle mode, apertura di nuovi canali etc… Spesso questi cambiamenti testuali si limitano ad aspetti superficiali e nominalistici senza avere alla base una strategia di prodotto e questo limite spesso non consente di raggiungere gli scopi prefissati. A volte non si capisce che i consumatori bevono vini, non bevono disciplinari, i disciplinari non sono uno strumento di comunicazione: ad esempio, non aumento il consumo o il prezzo di un vino se abbasso le rese sulla carta, se questo non si traduce in un reale adeguamento della qualità alle aspettative dei consumatori, oppure se non si accompagna a una adeguata strategia di comunicazione.
Il caso di cui si parla qui è diverso, perché il Bardolino e il Chiaretto di Bardolino si sono dati regole nuove che si inquadrano all’interno di una strategia vera, formalizzando alcuni aspetti di un progetto che è già in atto da tempo, e i cui elementi proviamo a riassumere:
- Il Chiaretto va per la sua strada. I produttori del Bardolino hanno colto l’occasione della grande crescita dei rosati a livello internazionale, e in particolare dei rosati con determinate caratteristiche: colori molto chiari, freschezza acida, profumi agrumati. Le caratteristiche delle uve di Corvina, in particolare quelle coltivate sui suoli morenici del Bardolino, si prestano del resto molto bene a produrre vini di questo tipo. La Provenza ha inizialmente dettato la moda ma il Chiaretto di Bardolino, che in pochi anni ha raddoppiato la produzione, da cinque a dieci milioni di bottiglie, e avrebbe fatto sicuramente di più senza il macigno della pandemia, fa ormai storia a sé stante. Il nuovo disciplinare inverte i termini Bardolino e Chiaretto in etichetta, si chiamerà ora Chiaretto di Bardolino. Dal Consorzio ci spiegano che l’idea iniziale era quella di separare del tutto i due disciplinari, ma questo avrebbe richiesto il passaggio della pratica a livello comunitario e allungato enormemente i tempi per cui i due disciplinari rimangono affiancati ma i due prodotti assumono identità più marcate nella loro diversità.
- Vengono istituite tre sottozone per il Bardolino (rosso): Montebaldo, La Rocca e Sommacampagna. “Tre storici cru del Bardolino – spiega il comunicato del Consorzio – sono tornati realtà. Erano già noti alla fine dell’Ottocento, quando il vino rosso rubino del lago di Garda era servito nei Grand Hotel svizzeri accanto ai vini di Borgogna e del Beaujolais. Già allora si conosceva l’esistenza di tre sottozone, individuate dai commercianti di vino nel 1825 (trent’anni prima della classificazione dei Bordeaux, fatta nel 1855) e poi identificate geomorfologicamente da Giovanni Battista Perez nel 1900 nel volume “La Provincia di Verona ed i suoi vini”. Ai vini di queste macro-zone erano riconosciute alcune peculiarità organolettiche e qualitative, che però sfuggirono ai compilatori del disciplinare di produzione del 1968.” Anche se il comunicato del Consorzio ovviamente non lo dice, la strada dei cru definisce un vertice della piramide qualitativa alternativo rispetto alle denominazioni Bardolino classico e Bardolino Superiore DOCG (pensata forse come inseguimento del successo del Valpolicella Ripasso), che non sembrano aver funzionato granché: la mia opinione personale è che siano definizioni tra loro concorrenziali, confusionarie e poco comprensibili. Ma come è noto è molto più facile istituire una denominazione che liberarsene, per cui la confusione per ora rimane e si prova (interpretazione personale) a superarla a sinistra mettendo la freccia delle sottozone.
- La base ampelografica, per entrambe le tipologia, rosso e rosa (aggettivo che il Consorzio suggerisce al posto di rosato o rosé) viene meglio definita con una più forte focalizzazione sul vitigno Corvina, che può arrivare ora al 95% del blend. Il che avrà probabilmente conseguenze nell’orientare le scelte sui nuovi impianti.
Le speranze dei produttori del Bardolino ora si concentrano molto sulla fine della crisi pandemica e sul ritorno di quel flusso italiano e soprattutto straniero che portava sulla riva veneta del Lago di Garda tredici milioni di turisti all’anno. Se il Bardolino ha retto discretamente il colpo finora, crescendo addirittura nel segmento del Chiaretto, si confida che il progressivo ritorno alla normalità potrà segnare nuovi importanti traguardi.
Foto in apertura (Consorzio di Tutela Chiaretto e Bardolino): veduta sulla sottozona La Rocca