di Elisabetta Tosi
Dopo la dieta mediterranea, in arrivo un altro Patrimonio Immateriale UNESCO italiano di tipo alimentare? E’ quello che si augura la Valpolicella, che alla conferenza di apertura della due-giorni “Amarone Opera Prima”, tenutasi di recente a Verona, ha annunciato di aver completato il dossier richiesto per presentare ufficialmente la candidatura della pratica di appassimento delle uve a questo riconoscimento. All’evento – dedicato come da tradizione al grande rosso passito veronese, che quest’anno presentava l’annata 2018 – erano presenti tra gli altri anche Pier Luigi Petrillo, coordinatore del Comitato scientifico, professore e direttore della cattedra Unesco sui Patrimoni culturali immateriali dell’Università Unitelma Sapienza di Roma e Elisabetta Moro, ordinario di Antropologia Culturale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e presidente del Comitato della Cattedra Unesco in Comparative Law & Intangible Cultural Heritage dell’Università di Roma Unitelma Sapienza. L’assunto alla base della candidatura è che la tecnica dell’appassimento delle uve fa parte del vissuto quotidiano della Valpolicella e di tutta la sua gente; se un domani per qualsiasi motivo venisse abbandonata, verrebbe meno l’essenza stessa della Valpolicella, ciò che la caratterizza maggiormente e in cui si identifica di più. Nel dossier che sarà consegnato al ministero della Cultura, a quello dell’Agricoltura e alla Commissione nazionale per l’Unesco è sintetizzato il lavoro di studio, analisi, raccolta di documenti e materiale video e fotografico anche di archivio. Fulcro del documento, i quattro capisaldi identitari che, secondo il Comitato scientifico composto da enologi, giuristi e antropologi, sostengono l’istanza della Valpolicella. In questo territorio la secolare tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella (pratica che decreta l’unicità dell’Amarone e del Recioto) garantisce, si legge nel dossier, “una funzione educativa, ambientale, di riscatto sociale e di inclusione” e ovviamente “una funzione enologica”, perché “senza questa tecnica i vini del territorio non esisterebbero”. Un saper fare, come ha detto il professor Petrillo, che da oltre 1500 anni identifica questa comunità.

“La bottiglia di vino é l’identità liquida della Valpolicella – ha commentato la professoressa Moro – Quello che più ci ha colpito come comitato scientifico é stato vedere una comunità che mette a riposo degli spargoli (i grappoli) come se fossero dei pargoli, dei figli. Ci sono quaderni familiari dove le persone hanno annotato tutti i consigli e i trucchi affinché l’appassimento riesca bene”. Sebbene ci vorrà ancora del tempo e molti altri passaggi tecnici prima di conoscere l’esito finale di questa richiesta, la professoressa Moro ha sottolineato come questa iniziativa abbia già portato dei risultati positivi. “Il bello dell’UNESCO é che innesca delle fermentazioni culturali – ha dichiarato – Ora infatti inizierete a guardare i fruttai (locali dove si appassiscono le uve, n.d.r.) con occhi nuovi, a considerare l’appassimento in maniera diversa. I fruttai non sono più strutture, sono dimore: sono case dove si accudisce materia viva. Prendete questa sfida culturale come un momento di crescita – ha concluso – Alla fine, il vero scopo di questi Patrimoni Immateriali é mettere in movimento le comunità”.
Il sottosegretario al Ministero della Cultura Gianmarco Mazzi ha insistito sul valore culturale del vino: “Questa proposta di candidatura é molto interessante, perché mette in luce il valore del tempo – ha commentato – . E’ quasi paradossale che un prodotto di grandissima qualità come l’Amarone della Valpolicella (fatto appunto con uve appassite per molte settimane, n.d.r.) difenda il tempo in un’epoca come la nostra, in cui l’industria alimentare cerca di accelerare tutto”.
“Il traguardo di oggi è il risultato di un grande lavoro di squadra che ha messo a fattor comune la valorizzazione della Valpolicella e la sua vocazione all’eccellenza – ha commentato Christian Marchesini –. Una unità di intenti e di visione che ha riscontrato l’appoggio anche delle istituzioni, a partire dalla Regione Veneto e dal suo presidente, Luca Zaia. Ora confidiamo che i ministeri deputati a decidere la presentazione della candidatura sappiano riconoscere il valore antropologico e anche socioeconomico di questa tecnica. Non dimentichiamo, infatti, che la denominazione genera un fatturato di oltre 600 milioni di euro l’anno”.
La chiusura del dossier ufficiale segue le quattro call to action promosse dal Comitato promotore nel corso del 2022. Il documento verrà ora trasmesso al ministero della Cultura, a quello dell’Agricoltura e alla Commissione nazionale per l’Unesco, l’organismo interministeriale coordinato dal ministero degli Esteri cui spetta il compito di scegliere, entro il 30 marzo, l’unica candidatura italiana da inviare a Parigi per la valutazione.