di Andrea Fasolo
È insolito provare a conoscere un territorio, tanto più relativamente vicino, senza andarci fisicamente ma provando invece a esplorarlo attraverso i vini che vogliono esserne ambasciatori. Si tratta del Lugana, il vino bianco che nasce ai piedi del Lago di Garda, al confine tra le province di Verona (unico comune, quello di Peschiera) e Brescia (in cui ricade invece la maggior parte del territorio con Lonato, Desenzano, Sirmione e Pozzolengo). Ma per conoscerlo le acque che ho dovuto attraversare sono ben altre rispetto a quelle del Lago, all’estremo opposto della regione, quello orientale. Le acque solcate sono quelle della laguna, che mi accoglie per Wine in Venice, manifestazione agli esordi svoltasi da sabato 28 a lunedì 30 gennaio nella splendida cornice (…quando ci vuole!) della Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia e che ha raccolto un’interessante rassegna di aziende ed eventi di grande qualità.
Lugana DOC una denominazione e cinque stili
Tra gli appuntamenti all’interno della rassegna il Consorzio Tutela Lugana DOC ha organizzato il sabato 28 gennaio la masterclass condotta da Alberto Ugolini dal titolo “Sensazioni di Lugana”, per far conoscere i vini di questo particolare territorio. Effettivamente confesso che non ne conoscevo così bene le caratteristiche e i numeri, pur avendolo attraversato e lambito spesso. Si tratta di una denominazione declinata in 5 diversi stili, con all’attivo circa 200 soci che coltivano 2560 ettari di vigneti da cui ricavano poco meno di 28 milioni di bottiglie. Numeri non da poco, per i 5 comuni che cingono la parte meridionale del Garda, raccontati dal presidente del Consorzio Tutela Lugana, Fabio Zenato.
Prima di passare ai vini degustati, tutti monovitigno, un accenno proprio al re di questo territorio. Il Lugana, infatti, vede la possibilità di produrre cinque diversi vini (Lugana DOC e superiore, riserva, spumante, vendemmia tardiva) tutti a partire dal Trebbiano di Soave (localmente Turbiana o Trebbiano di Lugana) con, eventualmente, altre uve a bacca bianca, non aromatiche, permesse in Regione Lombardia e nella Provincia di Verona, per un massimo del 10%.
L’uva Turbiana lascia tracce scritte sicure a partire dall’inizio dell’Ottocento, quando inizia l’interesse “botanico” per varietà di piante spontanee e coltivate. Fu proprio un famoso botanico, Ciro Pollini, nelle sue Osservazioni agrarie del 1818 (proseguite poi fino al 1832) a darne una delle prime registrazioni, segnalando anche la mancanza di un’opera descrittiva sulla varietà delle uve coltivate in provincia di Verona, e pur considerando “arduo e difficile” un lavoro del genere, ebbe modo di descrivere una cinquantina di varietà di uve rosse e 27 di bianche. Citato anche da Dalla Negra nel 1811 per quanto riguarda il vicentino, in realtà si mescolano e intorbidano parecchio le citazioni di questo vitigno, spesso confuso genericamente nella famiglia dei Trebbiani, diffusi in molte regioni d’Italia, dai quali sembra tuttavia distinguersi anche a livello genetico.
In questo territorio invece, il Turbiana sembra aver trovato il suo luogo ideale. In particolare, la sua maturazione medio-tardiva e l’elevato patrimonio di acidità, che si mantiene anche in queste ultime estati roventi, lo rendono adatto a produrre sia vini molto freschi – aspetto fondamentale nella produzione degli spumanti – sia con il potenziale di invecchiamento adatto a dare la giusta definizione espressiva nei vini più importanti come la riserva o la vendemmia tardiva.
Un territorio, quello del Lugana, storicamente legato alla viticoltura, con i primi segni di presenze viticole in quel di Sirmione risalenti al secolo IX-XI. L’ombra fatta dal territorio veronese nei secoli, è poi rimasta probabilmente molto forte. In una prima delimitazione delle zone produttive datata 1881 di Stefano de’ Stefani (Dei vini veronesi in relazione coi progressi della industria enotecnica, Estratto dal “Giornale l’Italia Agricola”, Milano 1881), nel descrivere i prodotti enologici inviati all’esposizione di Milano, si vedevano elencate quattro zone, con riportati al primo punto però proprio i “Vini della riviera veronese del Lago di Garda” (per poi proseguire con i “Vini della Valpolicella; Vini della Valpantena e del distretto di Verona; Vini dei colli di Mezzane, Illasi, Soave e Monteforte”).
Questo territorio trova le proprie origini nel Pleistocene, quando i ghiacciai alpini hanno ripetutamente visitato la pianura, portandosi appresso grandi quantità di sedimenti, che ora troviamo nei cordoni che costituiscono l’ampio anfiteatro morenico ai piedi del Garda.
Questi “cordoni” sono colline basse molto allungate, concentriche, a cui si interpongono delle piccole valli dette intermoreniche costituite da colmature colluviali o fluvioglaciali. Sono soprattutto queste ultime ad avere i suoli a tessitura più fine, ricchi di argille e forte contenuto in calcare, mentre i cordoni veri e propri, con maggiore pendenza, presentano suoli più “recenti” (si parla sempre di centinaia di migliaia di anni!), meno differenziati e più ricchi in scheletro.
Lugana DOC , il vitigno e il suo territorio svelati nel bicchiere
Cosa riesce a esprimere nel bicchiere il Turbiana che affonda le proprie radici in questi suoli così particolari? Lo scopriamo attraverso i cinque vini scelti da Alberto Ugolini per una degustazione multisensoriale.
Chiudiamo gli occhi e degustiamo il primo vino, uno spumante metodo classico Lugana DOC. I due conduttori – Fabio Zenato e Alberto Ugolini – ci invitano a bendarci, forse per sfuggire alla seduzione delle bollicine fini e brillanti.
Al naso solletica con profumi agrumati, floreali di gelsomino e rosa, con un finale che riporta sui canditi e sentori di lievito delicati. In bocca è sapido e con una acidità che fa salivare. Ha un carattere caldo ma al tempo stesso nordico, con una lunga persistenza.
Il Lugana DOC (annata 2021) che segue, si mantiene sulla stessa luminosità visiva ma presenta al naso dei profumi più maturi, in un percorso che va dalla pera fresca e pesca a un richiamo di albicocca che sembra candita e speziata.
In bocca è setoso e morbido, con una bella unità delle componenti. Forse l’unica pecca sta nel fatto che è un po’ corto, ma l’assenza di spigolosità o esuberanze lo rende un interessante compagno di una cucina fresca, che esalti i prodotti dell’acqua.
Il Lugana DOC Superiore (2020) ritorna su profumi agrumati, di pompelmo, e un ricordo quasi “sauvignoneggiante”. Rimane su questa linea aromatica, ma senza rimanere fermo, mostrando un certo movimento. Com’è per la musica che intanto parte e accompagna questo vino.
Emerge in maniera forte la sapidità in questo vino, mentre l’acidità sembra più “ammansita” e integrata, forse a seguito di un leggero appassimento e un passaggio in legno. Legno che, verso la fine, sembra coprire un po’ troppo l’energia di questo vino.
Lugana DOC Riserva (2020) ha un impatto dolce e avvolgente: inizia speziato, passa agli agrumi, e poi frutta matura, erbe aromatiche.
Acidità che torna a essere vibrante, in una dinamica gustativa intrigante che parla di agrumi e sapidità. Al naso evoca un prato falciato e seccato sotto un bel sole di inizio estate, come suggerisce anche una delle boccette fornite durante la degustazione, che solleticano il quarto senso di questo percorso (dopo il tatto, coinvolto con le stoffe richiamate nel secondo vino). La barrique già usata, in questo caso sembra aver apportato al vino una notevole evoluzione senza marcarlo.
Per finire la Vendemmia Tardiva Lugana DOC (2019). Il colore è appena più carico dei precedenti, ma è al naso che travolge con sentori di frutta matura, come appena colta e ancora calda dal sole, albicocca candita, miele, fiori passiti.
In bocca si mantiene quel carattere del Turbiana ben chiarito dai predecessori, ma con un timbro, un respiro più profondo. Evoca il calore e l’ampiezza che riusciva a emergere nel primo vino, ma con la profonda complessità, cremosa e tattile, che sembra voler rivendicare il carattere profondo e concreto dei suoli più argillosi nati dal ghiacciaio del Garda. L’uva rimasta in vigna per tutto il mese di ottobre ha concentrato negli acini dalla buccia spessa tutto il carattere di un’uva decisa ma elegante: governando correttamente l’arricchimento alcolico, affinché non sovrasti questa figura che a prima vista può sembrare esile, diventa un piacevole compagno di un formaggio stagionato o anche, più semplicemente, di una conversazione o di una lettura.
Magari di qualche storia torbida in queste acque a volte limpide, a volte meno, ma che alla fine sono sempre un ottimo mezzo in cui lasciarsi guidare dai propri sensi nella scoperta di nuovi luoghi.