Novembre 2022

NO e LOW alcol, un treno da non perdere

Si torna a parlare di vini senz’alcol e a basso contenuto in alcol o meglio, come vuole il Regolamento 2117/2021 di vini dealcolizzati e vini parzialmente dealcolizzati.

NO e LOW alcol, un treno da non perdere

Di Alessandra Biondi Bartolini

Nell’incontro organizzato da Unione Italiana Vini a SIMEI e moderato da Giulio Somma si è cercato di fare il punto sulle norme, le tecniche, le opportunità di mercato e la percezione dei tanti mondi che orbitano nel mondo del vino, dalla distribuzione alla critica enologica internazionale. Lo si è fatto quasi a dare una risposta, sicuramente non programmata ma assolutamente puntuale e strutturata, all’affermazione di Silvia Sardone, Europarlamentare e membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, che solo pochi giorni prima, in occasione della stessa inaugurazione di SIMEI ha parlato di vini “da laboratorio e senz’alcol”, in contrasto con la tutela del Made in Italy, e (testuali parole) “schifezze da lasciare ai burocrati di Bruxelles”.

Una dichiarazione che lascia perplessi soprattutto in un ambito come quello di SIMEI, dove si parla di innovazione e di futuro, e che appare come una frattura tra la politica e il mondo della produzione e del consumo, che non necessariamente sono uniti ma che probabilmente affrontano le sfide e fanno le loro scelte con maggiore approfondimento.

“C’è un’altra politica che piace di più a Unione Italiana Vini” ha commentato nella sua introduzione Giulio Somma “che da due anni sta portando avanti la battaglia per far rimanere nella famiglia dei prodotti vinicoli questi vini no e low alcol che, rappresentando un’opportunità di mercato in forte crescita. Prodotti che se sfuggissero dal sistema di filiera diventerebbero preda esclusiva del beverage industriale e di conseguenza un competitor temibile”.

Inserire (o non inserire) un prodotto nuovo nel settore enologico è sicuramente una questione complessa e importante, che coinvolge molti aspetti ancora non del tutto definiti, dalla tecnica alla normativa, quella europea che si è già pronunciata e quella nazionale che, come spesso accade, nicchia mentre altri occupano interessanti spazi di mercato. Ma l’interesse di alcuni consumatori per questi nuovi prodotti è reale e non può essere trascurato.

Cosa c’è in un nome?

Se per Shakespeare “ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”, anche la questione se mantenere il nome “vino” per i prodotti ottenuti dalla dealcolazione totale o parziale non è banale. La nuova categoria dei vini dealcolizzati o parzialmente dealcolizzati è stata introdotta dal Reg 2117/2021 emanato il 2 dicembre dello scorso anno, che va a modificare il Reg 1308/2013 e il Reg251/2014.  “La modifica più importante presente nel nuovo Regolamento” ha  spiegato Chiara Menghini responsabile del Servizio Ufficio Giuridico di Unione Italiana Vini “è relativa alle indicazioni obbligatorie in etichetta e nell’ambito di categorie di prodotti vitivinicoli già esistenti (come ad esempio vino o vino spumante ndr), afferma che la designazione della categoria, a fronte di una dealcolizzazione totale o parziale, deve essere accompagnata dal termine dealcolizzato se il titolo alcolometrico è inferiore allo 0,5% o parzialmente dealcolizzato se il titolo alcolometrico effettivo è compreso tra lo 0,5% e il titolo minimo per la categoria di riferimento”.

Avremo quindi “vino dealcolizzato” per i cosiddetti vini no alcol e “vino parzialmente dealcolizzato” per vini con gradazione compresa tra lo 0,5 e il 9% o l’8,5% in alcol, in funzione della zona vitivinicola in cui si ricade. Un principio di trasparenza che si applica a questi nuovi prodotti definendoli cioè né più né meno di quello che sono, cioè vini sottoposti unicamente al processo di sottrazione fisica dell’alcol, per i quali il regolamento prevede anche l’introduzione della dichiarazione nutrizionale, l’elenco degli ingredienti e il termine minimo di conservazione.

Le tecniche consentite sono quelle dell’evaporazione parziale sottovuoto, le tecniche a membrana e la distillazione, pratiche già inserite per la correzione della gradazione alcolica dei vini entro il 20% nel Reg606/2009 e nel Reg 2019/934.

“Nel luglio 2022” ha aggiunto Menghini “la Commissione ha risposto anche ad alcune richieste di chiarimento al regolamento 2117, confermando l’incompatibilità delle operazioni di dealcolizzazione e arricchimento, che non sono consentiti blend di vini dealcolizzati e non dealcolizzati e affermando che non ci sarà una legislazione secondaria né per le pratiche enologiche né per l’etichettatura”.

Le tecniche di dealcolazione sono state descritte nel dettaglio da Albano Vason, che ha sottolineato l’importanza di perseguire obiettivi di qualità per i prodotti no e low alcol, partendo da un progetto complessivo che, prima ancora della scelta della tecnica di riduzione degli zuccheri o di rimozione dell’alcol, parta anche con l’adozione di pratiche viticole adeguate.

Sembra tutto abbastanza chiaro ma non è esattamente così, perché se a livello europeo la strada sembra segnata con un Regolamento che dovrebbe essere direttamente applicabile negli Stati membri, in Italia alcune norme del Testo Unico della Vite e del Vino del 2016 impediscono di fatto la realizzazione di questi prodotti e per questo devono essere modificate.

Per il mercato i tempi sono maturi

Uno studio realizzato da CGA negli USA e citato da Sandro Sartor, Managing director di Constallation Brand e Ruffino, mette in evidenza che i consumatori fanno sempre più scelte legate al loro benessere (si parla di betterment) e che in questo ambito anche i più giovani riducono la quantità di alcol nei loro consumi e cercano prodotti a bassa gradazione. “Nella curva di sviluppo dei prodotti i vini low alcol, più dei no alcol, si collocano tra i prodotti emergenti e in crescita più importanti” ha spiegato Sartor illustrando l’offerta di questi prodotti presenti negli Stati Uniti e aggiungendo che il mercato cresce dove c’è un offerta che ingaggia nuovi consumatori e che alimenta la domanda, con un trend molto simile a quello che è avvenuto con l’incremento della disponibilità a scaffale dei formaggi light. “Il problema è che esiste una domanda e il mercato ce lo chiede ma se al momento non possiamo produrre noi, i più grandi produttori di vino al mondo, stiamo lasciando questo mercato agli altri: possiamo anche farlo ma dobbiamo decidere se questo figlio lo vogliamo adottare o lo vogliamo disconoscere. Perché se scegliamo di disconoscerlo dobbiamo poi accettare di non poterlo controllare e sottomettere alle nostre regole. È importante che questi prodotti restino e siano regolamentati nel mondo del vino. Anche in Europa i tempi sono giusti, il mercato è interessato e c’è una forte spinta per ridurre il consumo di alcol: schierarci contro prodotti di questo tipo sarebbe decisamente antistorico”.

Quello che sembra sfuggire, e che anche Sartor ha voluto sottolineare, è che a essere interessati a mantenerli nei confini del settore e delle norme che regolano la produzione dei prodotti vitivinicoli non sono i consumatori, ma devono essere prima di tutto gli stessi produttori. In caso contrario si produrranno ugualmente bevande senza o a basso contenuto di alcol che del vino continueranno ad avere l’immagine, ma per i quali le regole avranno maglie molto più ampie e fuori dal controllo di chi produce e tutela l’immagine e il percepito del vino.

Ma sembra sfuggire anche che stiamo parlando di un pubblico probabilmente del tutto inedito, non quello dei fine wine e dei vini nobili della tradizione e del terroir, né quello dei vini naturali, dei quali hanno parlato Alessandro Rossi di Partesa e la Master of Wine newyorkese Melissa Monti Saunders. Un mondo diverso da quello dei wine critics, dei concorsi, i punteggi e le guide che, sostiene il britannico Robert Joseph, non si occuperanno di questi prodotti (tanto quanto non esistono concorsi per i soft drink). Ma deve essere chiaro anche che il disinteresse di queste categorie non impedirà a questi nuovi consumatori di cercare e consumare i vini no e low alcol, secondo una geografia di apprezzamento e posizionamento ancora da scrivere, che non è quella alla quale siamo abituati ma che forse non sempre o almeno non per questi prodotti è così importante.