“La decisione della Giunta Regionale della Regione Sicilia (DGG 1733 del 09/08/2019) con la quale si autorizza la coltivazione della varietà Primitivo sull’intero territorio regionale crea un pericoloso precedente amministrativo. Per noi questo provvedimento è inammissibile. Tale decisione offende la nostra storia. Il primitivo è un vitigno pugliese, espressione coerente del nostro territorio e delle nostre tradizioni vitivinicole. Inoltre, la sua affermazione commerciale che lo pone come prodotto traino dell’economia vinicola, agroalimentare e enoturistica regionale, è il risultato di decenni di sforzi e investimenti, sacrifici dei viticultori. E non possiamo tollerare che tale patrimonio sia sottratto.”
Così si esprimono congiuntamente il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria doc e docg, il Consorzio del Salice Salentino doc, il Consorzio del Primitivo di Gioia del Colle doc, il Consorzio di Brindisi e Squinzano doc, il Consorzio dei vini doc e docg Castel del Monte, l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino delegazione Puglia, il Consorzio Movimento Turismo del Vino Puglia, Assoenologi Puglia Basilicata e Calabria, Cia- Agricoltori Italiani Puglia e la Confagricoltura Puglia sottolineando con forza le dichiarazioni rese nelle ultime ore dal Senatore Dario Stefàno, in merito alla tutela dell’uva più importante del sistema vitivinicolo pugliese. Un messaggio comune: l’autorizzazione all’impianto e alla produzione di primitivo in Sicilia è da considerarsi un abuso.
Non è il primo caso in cui la filiera del vino di una regione cerca di tutelare un vitigno, e il suo nome, come patrimonio locale (il Primitivo è coltivato anche nella penisola balcanica e negli Stati Uniti, ma con altri nomi). E’ successo con il Sagrantino in Toscana, in Piemonte ci fu addirittura una controversia tra province sui vitigni Arneis ed Erbaluce (oggi le autorizzazioni sono su base regionale).
E’ una posizione comprensibile visto che il nome del vitigno è sempre stato tradizionalmente associato a famose denominazioni pugliesi, in particolare Manduria e Gioia del Colle, oltre che ad altre DOP e IGP.
Tuttavia è una posizione non sostenibile sulla base della normativa nazionale, europea e mondiale (WTO), e della logica a cui tale normativa si ispira. Le varietà vegetali, in particolare i vitigni riportati nel registro nazionale delle varietà di viti, possono essere autorizzati in tutte le regioni italiane, e non ci sono limitazioni alla loro circolazione in altri paesi salvo quelle di tipo sanitario.
Commenta Michele Fino, docente di diritto all’Università di Pollenzo: “IL WTO stabilisce chiaramente, art. 26 c.4 del TRIPS agreement, che non si dà tutela di indicazione geografica al nome tradizionale dei vitigni, esistenti al momento della firma (25 anni fa) dello stesso trattato. Ergo, Primitivo non si può tutelare in alcun modo analogo a Manduria o Salento o Puglia. La pretesa di esclusiva sui nomi dei vitigni è il passato. I pugliesi devono farsene una ragione. Manduria è irripetibile, non Primitivo. E vale, uguale uguale, per Nebbiolo, Erbaluce, Sagrantino, Sangiovese, e chi più ne ha più ne metta.”
In Italia, al contrario che in Francia (con l’eccezione dell’Alsazia che è una regione di cultura germanica) è molto affermata la tradizione di affiancare al nome del territorio quello del vitigno nella denominazione di origine, ma l’evoluzione e la globalizzazione dei mercati hanno evidenziato la fragilità di questa impostazione. Per questo motivo in molte aree viticole si è scelto da tempo di privilegiare il nome del territorio nelle DOC, anteponendo il nome geografico e in alcuni casi abbandonando progressivamente il nome di vitigno, quanto meno nelle denominazioni di vertice della piramide (quale sarebbe il caso di Manduria e Gioia), visto che il territorio è l’elemento non riproducibile e non imitabile di una denominazione.
Foto in apertura: alberello di Primitivo a Manduria (TA), azienda agricola Morella