Luglio 2021

Prosecco, Prošek, Prosekàr e Champagne in Russia, la confusione è tanta

I presunti scandali segnalati dalla stampa italiana (e francese), che forse tali non sono

Maurizio Gily

Prošek è il nome di un vino dolce, da uve appassite, prodotto in Croazia, nella Dalmazia meridionale. A parte l’assonanza dei nomi, non ha nulla a che vedere con il Prosecco. E’ fatto con vitigni diversi, e si tratta di un vino di nicchia, prodotto in quantità molto limitata. Con l’ingresso della Croazia nella UE era inevitabile che emergesse un potenziale conflitto. In realtà solo di recente la Croazia ha richiesto il riconoscimento di una denominazione geografica per il Prošek e questo ha sollevato un gran clamore nel mondo del Prosecco, offrendo ai politici italiani (ma prima di loro a quelli croati) una straordinaria occasione per sventolare la bandiera della difesa del prodotto nazionale. In realtà appare estremamente improbabile che la UE riconosca al Prošek il diritto di mantenere questo nome. Infatti in base alle norme comunitarie “vince” il nome di territorio e Prosecco è un’indicazione geografica, grazie all’escamotage del disciplinare che fa riferimento al paese di Prosecco. Prošek, oltre al fatto di “arrivare dopo” nella richiesta di una tutela, il che già non è poco, non è un nome geografico: quindi, se viene riconosciuta l’assonanza con il nome Prosecco, come pare inevitabile, non può essere autorizzato. Si ripete, a parti invertite, il caso Tokaj-Tocai: in quel caso vinse l’Ungheria, per lo stesso motivo per cui vincerà il Prosecco. Fanno bene i nostri rappresentanti a impegnarsi per questo risultato, ma a dire il vero non pare affatto una battaglia complicata: mentre quella sul Tocai provocò analoga agitazione ma, in quel caso, era palesemente persa in partenza. Ma non fa niente, agitare la bandiera va sempre bene…

Un altro caso che riguarda il Prosecco provoca agitazione nel Carso. I carsolini hanno mal digerito (e non hanno tutti i torti) che il nome del paese di Prosecco, vicino a Trieste, sia stato usato come grimaldello per trasformare il Prosecco in una vasta denominazione geografica sovraregionale (perché prima era il nome del vitigno, sinonimo di Glera) senza averne nulla in cambio. In effetti il Consorzio del Prosecco, nel tentativo di adempiere a una promessa fatta a suo tempo, ha fatto un’offerta riparatrice: la possibilità di una menzione specifica in etichetta, Prosekàr, per i produttori di Prosecco del Carso. Un’intesa in tal senso è stata firmata la scorsa estate tra il Consorzio, il GAL Carso LAS Kras, e tre associazioni di produttori. L’accordo prevedeva di avviare un processo per delineare al meglio il profilo enologico e organolettico del “Prosekàr”, che ha elementi diversità rispetto al Prosecco, a partire dalla base ampelografica che prevede oltre alla Glera i vitigni tradizionali del Carso, la Vitovska e la Malvasia Istriana. Prosekàr diventerebbe quindi una menzione aggiuntiva alla DOC Prosecco. A questa ipotesi si oppone però una piccola fronda di produttori, che vorrebbe invece Prosekàr dentro la DOC Carso, non dentro la DOC Prosecco. Battaglia nobile ma persa, anche questa, in partenza, per le stesse ragioni: Prosekàr crea assonanza con Prosecco, e quindi non si può usare su un’altra DOC. Sia chiaro, non si può negare che questi produttori vantino valide ragioni per la loro posizione, sul piano della storia e della tradizione, se non dei numeri, che sono esigui rispetto alla corazzata Prosecco. Ma purtroppo questo non basta: dura lex, sed lex    (la legge è dura, ma è la legge). Sarebbe quindi bene che si convincessero, nell’interesse generale, che, piuttosto che niente, è meglio piuttosto.

Infine il caso Champagne in Russia. Tutti abbiamo sentito in tv o letto sui giornali che il perfido Putin ora vieta di chiamare Champagne lo Champagne, e vuole riservare questo nome alle pallide imitazioni (a essere generosi) “made in Russia”. La questione in realtà è ben diversa, come spiega, con un post su Facebook, un maestro come Armando Castagno, che, senza la sua autorizzazione, oso definire il massimo esperto italiano di vini francesi:

“Vedo vesti strappate ovunque, minacce di embargo e guerre commerciali, veline italiane molto imprecise sul tema. Forse non è inutile un chiarimento.

La Russia di Putin NON ha impedito ai produttori di Champagne di etichettare come ‘Champagne’ (in francese, come da noi) il proprio Champagne esportato in Russia, che dovrà solo riportare in piccolo la dicitura in cirillico che attesta trattarsi di uno spumante. Questo nonostante la Russia NON sia firmataria degli accordi di Lisbona sulla tutela delle indicazioni geografiche. La Russia di Putin HA invece limitato al pallidissimo surrogato ‘proletario’ russo dello Champagne la dicitura ‘(Sovetskoye) Shampanskoye’, un tristo ma diffuso vino simil-Charmat prodotto con tale nome sin dal 1937, il cui nome è stato utilizzato finora disinvoltamente, beninteso in cirillico, come traduzione di ‘Champagne’ dalle Maisons francesi.

Assodato ciò, andiamo avanti, ché la vita è breve. Champagne per tutti.”