Maurizio Gily
La pandemia ha messo ostacoli, ma non ha fermato “Radici del Sud”, il più importante evento dedicato ai vini da vitigni autoctoni dell’Italia meridionale e insulare. Negli ultimi giorni di febbraio due commissioni di esperti hanno esaminato trecento campioni rigorosamente “autoctoni” di Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia, alle quali si sono aggiunte lo scorso anno la Sardegna, l’Abruzzo e il Molise. Infatti i campioni erano arrivati nel 2020, ma a causa delle misure restrittive per il Covid-19 non si era potuta riunire la commissione internazionale e l’evento era stato rimandato. Per non vanificare lo sforzo e le aspettative delle cantine l’organizzazione, sotto la guida esperta di Nicola Campanile, ha optato per un’edizione tardiva, a porte chiuse e ristretta a giudici residenti in Italia, del “challenge” di Radici, che in realtà più che un concorso è un confronto e una riflessione collettiva sullo stato dell’arte dell’enologia meridionale.
E proprio in questo spirito desidero, come membro di commissione e da molti anni amico di questa manifestazione, fare alcune considerazioni. Propongo uno schema per punti su ciò che si è degustato, senza parlare di podi e di vincitori né di singole aziende: chi fosse interessato a questi risultati li può però trovare facilmente a questo LINK:
LE MIE CONSIDERAZIONI
- Vini sempre più buoni. Si è notata una quasi totale assenza di vini con difetti di vinificazione o conservazione, quali talvolta comparivano negli scorsi anni, segno di un settore che ha raggiunto un livello molto elevato di professionalità e cura dei dettagli.
- Tutti i vini erano del 2019 o più vecchi, per i motivi che ho esposto prima. Se qualcuno aveva dei dubbi sulla tenuta nel tempo di bianchi e rosati non solo ha dovuto ricredersi, ma ha potuto constatare quasi sempre un’evoluzione positiva, fatta eccezione per qualche rosato un po’ troppo “tirato da corsa” che mostrava qualche segno di cedimento. E’ ora che anche al sud (ma pure al nord) si prenda atto del fatto che nessun vino di grande qualità ha la scadenza dello yogurt, e che nessun grande vino al mondo, con pochissime eccezioni, si beve ad aprile dopo la vendemmia (cioè al tempo del Vinitaly), se lo si vuole apprezzare al meglio. E anche qui il segno che la viticoltura e l’enologia hanno fatto grandi passi è stato evidente.
- La miniera dei vitigni autoctoni è ancora in gran parte da esplorare. Vini da vitigni sconosciuti alla maggioranza dei consumatori hanno guadagnato meritatamente le vette della classifica. Parlo di varietà come Minutolo, Nuragus, Cococciola, Magliocco, Mantonico (in versione spumante), Susumaniello, Nero di Troia (quest’ultimo pronto allo sdoganamento, la categoria dei “vitigni minori” gli va ormai stretta, e lo stesso vale per il Pecorino).
- Il Negroamaro in Puglia ha raggiunto livelli di qualità davvero molto alti, non solo nelle punte ma anche nella media, nelle versioni di vino rosso. Mentre non convince del tutto la tendenza a inseguire lo stile provenzale nei rosati: nella ricerca della lievità e dei colori chiari il Negroamaro lascia indietro un pezzo della sua anima (e lo stesso vale per il Montepulciano e il Cerasuolo in Abruzzo). D’altra parte non si può chiedere ai produttori di sacrificare le vendite alla difesa di un’identità che evidentemente non incontra, in questo momento, i gusti del mercato. Forse una soluzione (in parte già adottata da alcune cantine, ma senza un piano condiviso) potrebbe essere quella di utilizzare le diverse denominazioni disponibili per fare vini diversi.
- Per il Primitivo, bandiera della Puglia, mi è parso di notare una tendenza a voler alleggerire i vini da un eccesso di potenza alcolica. Vini molto gradevoli, ma c’è l’impressione che la compiutezza del frutto maturo sia difficile da raggiungere al di sotto di un livello zuccherino naturale delle uve tale da portare il vino ben oltre i 14 gradi.
- La Calabria emerge per la qualità eccellente dei rosati dai suoi vitigni autoctoni, che si affiancano ai più noti rossi e bianchi della regione. Già qualcuno parla di Provenza d’Italia, ma questi paragoni non sono mai calzanti, e in questo caso forse il paragone non è nemmeno generoso verso la Calabria (absit iniuria iniuria verbis, Galli).
- Tra i vincitori, salvo errori per difetto, ho contato sei cantine cooperative. Mi auguro che altri colleghi giornalisti se ne accorgano, visto che il pregiudizio sulla cooperazione è duro a morire. Non solo “eccellente rapporto qualità prezzo”, il che va sempre bene, ma anche eccellenti e basta. Non tutte le cantine sociali, ovviamente, Ma nemmeno tutte le aziende private.
- Ultima, ma non ultima, osservazione. Inutile parlare di biologico e di green se poi si mandano in giro per il mondo casse di munizioni invece che bottiglie di vino. Una bottiglia che pesa più di 600 grammi può vincere i concorsi e piacere ai Cinesi, ma non è sostenibile sotto nessun punto di vista. E non c’è altro da aggiungere al riguardo.