Febbraio 2021

Riordino del Servizio Fitosanitario Nazionale

Adeguamento alla normativa europea e rafforzamento dei controlli sugli organismi nocivi. Cancellata l’apertura agli ogm

Il Consiglio dei Ministri del governo uscente ha dato il via libera definitivo ai decreti legislativi relativi al riordino del Servizio fitosanitario nazionale, dei settori sementi, dei fruttiferi e delle ortive e della vite.   Lo spiega in un comunicato il sottosegretario L’Abbate.
I testi unici di riordino normativo dei settori interessati – si legge nel comunicato –  sono il risultato della delega al Governo, inserita nella legge di delegazione europea 2018 per l’adeguamento alle norme comunitarie. Sulle bozze sono intervenuti, attraverso propri pareri, sia il Parlamento sia la Conferenza Stato-Regioni con condizioni accolte dal Governo. Le modifiche intervengono profondamente sulle modalità di intervento sulle emergenze fitosanitarie mediante l’elaborazione di specifici Piani di emergenza, il rafforzamento dei controlli alle importazioni e alle produzioni interne, l’individuazione di una rete laboratoristica nazionale per la diagnosi, la modifica della struttura del passaporto delle piante, ma, soprattutto, attraverso una maggiore responsabilità a carico degli operatori professionali in un’ottica di tracciabilità totale“.

Da parte nostra ci auguriamo che  l’impegno a rafforzare la struttura si traduca anche in un rafforzamento dei servizi a  livello regionale, che soffrono da tempo di una grave carenza di organico, a fronte di minacce sempre più pressanti dovute all’ampliamento degli scambi a livello internazionale e al continuo arrivo di nuovi parassiti.

E’ stata stralciata dal testo definitivo dei decreti la parte riguardante gli organismi geneticamente modificati, che aveva fatto infuriare   i principali movimenti ambientalisti. In realtà i decreti non legalizzavano né gli OGM, né  le varietà modificate con tecniche genetiche innovative (NBT), come erroneamente qualcuno ha scritto:  si limitavano a prevedere una specifica categoria all’interno delle liste varietali. Il che toccava comunque un nervo scoperto,  in quanto un’apertura all’ingegneria genetica e alla sua legalizzazione era evidentemente contemplata almeno come ipotesi futura.

Il dibattito su questi argomenti è destinato sicuramente a infiammarsi nei prossimi mesi e anni.    Dalla comparsa dei primi OGM in agricoltura oltre trenta anni fa la genetica ha fatto passi da gigante, dalla mappatura completa del genoma di molte specie fino alla possibilità di intervenire, con l’editing del genoma, su singoli geni, in modo chirurgico e senza alcun intervento di genoma esterno: la tecnica è quella di  provocare piccole mutazioni, del tutto indistinguibili da quelle che avvengono in natura nel corso dell’evoluzione e che caratterizzano, ad esempio,  i cloni di una stessa varietà.  Questi progressi trovano già applicazione in medicina umana e promettono  di contrastare efficacemente, in futuro, malattie oggi ritenute incurabili.

E’ necessario che anche l’agricoltura partecipi a questa rivoluzione.   Muovendosi con cautela, valutando bene rischi e benefici,  e senza fare l’errore di mettere in soffitta gli strumenti tradizionali del miglioramento genetico   per puntare tutte le aspettative sulle nuove tecniche, che in verità non sappiamo se saranno effettivamente in grado di mantenere tutte le loro promesse.  D’altra   parte  però i tempi sono  maturi per consentire alla ricerca italiana di  sviluppare programmi basati sulle nuove tecniche, in particolare per contrastare le malattie e ridurre l’impatto dei pesticidi sull’ambiente e sui costi di produzione.  In Italia abbiamo ottimi ricercatori del settore pubblico il cui lavoro deve essere valorizzato. Ci sono passaggi normativi importanti, a livello europeo e a livello nazionale, per aggiornare una legislazione che è rimasta indietro di decenni rispetto all’evoluzione della scienza e della  conoscenza. Bisogna rendersi conto che restare indietro in questo campo non ci renderà più sostenibili o più verdi, ma solo più arretrati e più dipendenti dalla ricerca estera e dalle multinazionali.

Maurizio Gily