Di Andrea Fasolo
foto in apertura: Fabio Piccoli e Silvano Nicolato, da https://www.enordest.it/,
Arriva un invito nella posta elettronica. L’ennesimo evento sulla sostenibilità nel mondo del vino? “Una tavola rotonda dove verranno approfondite le diverse declinazioni della sostenibilità sul mercato, sulla gestione di impresa e sulla comunicazione.” Però il programma di questo incontro organizzato da Vitevis incuriosisce: mi metto in viaggio per il Teatro comunale di Vicenza.
Apre i lavori Silvano Nicolato, Presidente di Vitevis, sottolineando come la sostenibilità per Vitevis parte dalla consapevolezza che le risorse naturali sono limitate ed è sinonimo di percorsi condivisi con i 1.350 soci viticoltori: “Abbiamo raccolto e analizzato molti dati, coinvolgendo qualche migliaio di persone sui nostri progetti.” E sottolinea che sì, i dati sono importanti, i numeri servono, ma la “viticoltura è fatta di persone”.
Fabio Piccoli, che è il moderatore della giornata, avvia la serrata sequenza di relatori riallacciandosi al titolo della mattinata, Vini buoni per la terra: se il vino è sempre stato fatto pensando al cliente, cosa c’è di più importante che pensare alla terra?
Comincia Aurelio Bauckneht, esperto di marketing, soprattutto agroalimentare, ravvivando un pensiero che mi aveva accompagnato sino a Vicenza: ha senso parlare (ancora, aggiungerei) di sostenibilità, nel 2022? Dice di sì, perché è la parola chiave del nostro tempo. A un secolo dall’invenzione del processo Bosch-Meiser che sintetizza l’urea (a seguito della sintesi dell’ammoniaca con il processo Haber-Bosch), questo prodotto è ancora uno dei pilastri della nutrizione vegetale a livello mondiale, e nonostante molti miglioramenti e qualche evoluzione, l’urea è sempre la stessa da 100 anni. Non ci sogneremmo mai, invece, di utilizzare per la nostra mobilità, o vita in casa, o necessità produttive in agricoltura, di utilizzare tecnologie e strumenti di 100 anni fa.
Il 2022 ha visto però anche alcuni passaggi fondamentali per il nostro Paese, con le modifiche di due articoli della nostra Costituzione che vi introducono definitivamente il concetto di sostenibilità. “La novità inserita nell’articolo 9 riguarda la tutela dell’ambiente, della biodiversità e della fauna, quella dell’art. 41 riguarda la definizione stessa di azienda secondo cui l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente. Ciò significa che da quest’anno la Costituzione non prevede che possano sussistere aziende non sostenibili”. Ma bisogna stare molto attenti (imprenditori, consumatori, comunicatori) a non cadere nell’inversione tra mezzi e fini, in particolare nella giungla di nuovi termini, definizioni e certificazioni che continuano a nascere. La sostenibilità è un concetto nuovo nella storia dell’uomo e non possediamo parole adatte a descriverne il concetto, tra gli archetipi presenti nella nostra mente. Dal medioevo in cui la Natura era nemica e ostile, all’ecologismo più sfrenato e ideologizzato degli ultimi tempi, passando per l’Enciclica “Laudato si’”, l’Agenda 2030 o la COP21, però, l’umanità sta cercando le parole giuste per descrivere questo nostro presente consapevole, perché se mancano le parole, nemmeno il significato delle azioni può sostenersi.
La strada per applicare pienamente la Carta però è ancora lunga, e soprattutto se vogliamo rimanere davvero fedeli a dei principi e non scadere nel mero “greenwashing” né basare tutti gli sforzi sia concreti che comunicativi sulle tecniche in sé, dobbiamo misurare i risultati e puntare su di essi, dice Giulio Somma, Direttore de Il Corriere Vinicolo. Questo, forse, ci aiuterà anche a superare l’assuefazione, anzi a volte il fastidio che proviamo venendo travolti da questo “tsunami comunicativo”. E proprio dell’importanza delle azioni, concretamente, ha parlato anche Rossella Sobrero (presidente di Koinètica), “va bene lo storytelling però non deve essere più importante dello storydoing. La sostenibilità non è un jolly da giocarsi, la sostenibilità deve mutare il comportamento dell’azienda”.
Sull’intervento di Davide Raffaetà (CEO di NoiCompensiAmo), non mi dilungo, rischierei di tenervi qua per i prossimi due giorni! Ma, in sintesi, ha detto: il suolo è un enorme serbatoio potenziale di carbonio. Riempiamolo! Ne giova l’agricoltura, ne giova l’ambiente, ne giova l’umanità. Serve aggiungere altro? E, di nuovo, bisogna lavorare su tecniche ben precise valutando i risultati, senza rincorrere la moda del sovescio con qualche fiorellino solo per farsi belli, aggiungo.
Nel caso di Vitevis, su 700 ha monitorati in tre anni, la capacità di sequestro è stata di poco più di 6t/ha di CO2eq, non male! E se le idee contano più numeri, ma senza questi la sostanza non sta in piedi, come ha detto Alberto Marchisio, direttore di Vitevis, la chiusura inaspettata di questa mattinata riporta in alto le idee.
Verso la fine, infatti, e dopo una carrellata di numeri e azioni messe in campo da Vitevis, dall’SQNPI al “Progetto Grigio”, dalle certificazioni Equalitas e con NoiCompensiamo, fino alle nuove strutture e tecnologie che permettono di rendere sempre più efficienti le cantine del gruppo, ecco apparire in collegamento Carlo Petrini, che non ha decisamente bisogno di presentazioni.
Entra subito nel vivo della questione, riprendendo e rilanciando in alto il cuore della questione: cos’è la sostenibilità? Viviamo spesso legati al presente, ma dobbiamo lavorare per garantirci un futuro. Il vino è la punta di diamante dell’agroalimentare, e per questo ha un enorme potere di traino, una potenzialità di essere emulato che non va assolutamente sprecata ma sfruttata con intelligenza! Se sostenibilità è diventata una parola (e un concetto) quasi vuota, sopra-usata, non lo deve essere la sua essenza: fare in modo che le nostre fatiche ottengano dei risultati “durable” (sostenibili, in francese). La dualità tra tradizione e innovazione, come evocato anche in apertura, deve essere superata, affinché non esistano più solo due colori netti, quelli del conservatorismo o del progressismo (sfrenati, ideologici) ma invece vengano a crearsi delle sfumature intermedie grazie a una dialettica costante, necessaria anche per contestualizzare le tradizioni e far loro mantenere un senso attuale.
“Un’impresa che opera nella produzione enologica deve essere in grado di implementare tre elementi principali, il primo riguarda il “governo del limite”, fino ad un certo limite la produzione si sviluppa in armonia con l’ambiente ed il territorio, oltre le problematiche aumentano in maniera esponenziale” continua Petrini. “Il secondo elemento è il mantenimento e rafforzamento della biodiversità, nelle mie Langhe piemontesi la vite conviveva con i cereali, con superfici boschive. Oggi vedo solo vigneti, questa è una perdita di biodiversità che nel lungo periodo il territorio pagherà e lo pagherà anche la produzione. Questa biodiversità portava protezione anche ai vigneti, non si tratta di scelte etiche ma strategiche sul lungo periodo. Il terzo aspetto è che un produttore enologico deve avere molto rispetto per il territorio e le popolazioni che lo abitano. Nei borghi dove si sviluppa la viticoltura non esistono solo cittadini dediti alla viticoltura, ci sono altre comunità. Se la viticoltura copre tutti gli spazi, se il turismo del vino diventa invasivo avremo una sofferenza da parte di chi non opera nel settore, molti borghi stanno perdendo la propria socialità.”
Me ne scappo via di corsa per un altro impegno pensando che ne è valsa la pena, venire fin qua per ascoltare quanto detto stamattina. La sostenibilità ha bisogno di sostanza, concretezza, di avere i piedi per terra ma la testa capace di portare in alto lo sguardo, per guardare al futuro con idee chiare e obiettivi definiti. Ce lo chiede la terra, ce lo chiede la Terra.