Un progetto cominciato nel 2016 ha testato le prestazioni agronomiche e le potenzialità enologiche di trenta diversi vitigni resistenti a oidio e peronospora, di nuova costituzione o già presenti sul mercato. I risultati del progetto VEVIR, sono stati presentati venerdì scorso nella diretta streaming su You Tube, organizzata dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN) in collaborazione con CIVIT. Al progetto coordinato dal Consorzio Innovazione Vite hanno partecipato oltre all’istituto di ricerca trentino, anche le realtà più importanti della produzione vitivinicola regionale, Cavit, Mezzocorona, Cantine Ferrari e Cantina di Lavis.
In Italia si producono oggi più di 3 milioni di innesti di varietà resistenti commercializzate poi in tutto il mondo, un numero che è andato progressivamente aumentando negli ultimi anni, anche se sono ancora poche le regioni dove il loro impianto è ammesso, oltre al Trentino anche Veneto, Friuli, Lombardia, Emilia Romagna e Abruzzo.
Il programma di miglioramento genetico svolto nei laboratori e nei vigneti di San Michele all’Adige ha portato alla registrazione di quattro nuove varietà resistenti a oidio e peronospora di ultima generazione, Nermantis e Termantis a bacca rossa (genitori Teroldego x Merzling), Charvir adatta alla spumantizzazione e Valnosia (genitori Nosiola x Bianca).
Nel lavoro di incroci successivi tra varietà di Vitis vinifera e donatori di resistenza di altre specie del genere Vitis, ha spiegato Marco Stefanini responsabile dell’Unità di Ricerca di genetica e miglioramento genetico della vite, si utilizza la tecnica della piramidizzazione, grazie alla quale è possibile combinare nelle nuove varietà geni e forme di resistenza diversi, in grado di rafforzare la capacità di risposta della pianta. Nelle varietà ottenute a San Michele e selezionate per la resistenza a oidio e peronospora, si combinano rispettivamente tre e cinque caratteri di resistenza per i due patogeni.
Insieme alle varietà di nuova registrazione i ricercatori trentini hanno testato nei vigneti sperimentali della Piana Rotaliana, Vallagarina e Valsugana, anche le principali varietà resistenti del commercio, selezionate nei decenni scorsi in Germania e Ungheria. Il primo obiettivo è stato quello di comprendere come questi vitigni si adattino alle diverse altitudini e condizioni climatiche, studiandone la fenologia, la fertilità, la suscettibilità alle principali malattie e fisiopatie – come ad esempio le carenze in micro e macro elementi -, rispetto a due varietà tradizionali come Chardonnay e Marzemino, assunte come standard di riferimento. Successivamente, ottenuti i risultati, il progetto ha permesso di poter dare ai produttori le necessarie indicazioni di impianto e di gestione del vigneto. Le potenzialità enologiche sono state valutate con la realizzazione delle microvinificazioni e l’analisi chimica e sensoriale, che hanno permesso di verificare le caratteristiche qualitative delle uve e dei vini, oltre che la rispondenza ai parametri di legge per il contenuto in antocianine diglucosidi e alcol metilico (sempre ampiamente al di sotto della soglia) e la presenza eventuale di off flavours, come il carattere foxy, in passato associati alle varietà ibride.
Le varietà che hanno portato ai risultati di maggiore interesse sono state, oltre alle quattro di nuova costituzione, il Solaris, già utilizzato con successo da alcuni viticoltori locali, il Souvignier gris e il Pinot Regina, ma anche Johanniter, Muscaris, Bronner e Palma presentano buone potenzialità.
“Queste varietà che richiedono un numero limitato di trattamenti di difesa” ha spiegato Maurizio Bottura del Centro di Trasferimento Tecnologico “possono rappresentare un’opportunità nelle zone vicine alle aree sensibili, nei pressi dei centri abitati o delle piste ciclabili, nelle zone di forte pendenza e difficile meccanizzazione, ma anche alle altitudini più elevate nella creazione di filiere corte associate all’enoturismo.”
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=FwZD6klkphs