di Riccardo Castaldi
Già da qualche tempo si sono affacciati sullo scenario viticolo nazionale i vitigni resistenti a peronospora e oidio, ottenuti per ibridazione tra Vitis vinifera (vite europea) e viti appartenenti a specie asiatiche che fungono da donatrici dei geni della resistenza. Le caratteristiche che contraddistinguono i vitigni resistenti comparsi in questi anni dai precedenti ibridi (introdotti per contrastare la fillossera e messi al bando in Italia a partire dal 1936) sono il fatto di avere un patrimonio genetico uguale a quello della vite per il 95-97% e di essere stati selezionati tenendo in considerazione non solo la resistenza ma anche caratteri produttivi ed enologici. Trattandosi di vitigni resistenti – e non immuni – pur consentendo una riduzione significativa dei trattamenti fitosanitari devono comunque essere protetti nei confronti di peronospora e oidio; devono inoltre essere protetti come qualsiasi altro vitigno anche dalle altre malattie che affliggono la vite, in modo particolare il black rot. La mancata protezione nei confronti di peronospora e oidio può in ogni caso portare alla selezione di ceppi di queste crittogame in grado di superare i meccanismi di resistenza, per cui deve essere evitata. La riduzione dei trattamenti che i vitigni resistenti consentono ha ovviamente dei riflessi positivi sia sulla sostenibilità ambientale e sia su quella economica dell’attività viticola.
La loro coltivazione è autorizzata solo in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo, mentre sono in corso le prove per la loro autorizzazione in Lazio, Campania e Puglia e Piemonte (dove le varietà sono inserite come varietà in Osservazione NDR). Possono essere impiegati per la produzione di vini IGT e recentemente l’Unione Europea ha aperto la strada per il loro impiego anche nelle DOP, previa richiesta di modifica del disciplinare di produzione.
I vitigni resistenti possono rappresentare un’opportunità interessante per diverse realtà produttive, che deve essere presa in considerazione, in un contesto viticolo in continua evoluzione.
La loro messa a dimora deve però passare dall’acquisizione di informazioni riguardanti le caratteristiche produttive, fenologiche (con riferimento particolare al periodo di germogliamento e maturazione) ed enologiche, rapportare al contesto pedoclimatico in cui si intenda realizzare il vigneto.
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